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Immagine del redattoreGabriella Grasso

A Leonforte anche san Giuseppe è divisivo!

All’istituto comprensivo Iqbal Masih di Pioltello, la scuola sospenderà le lezioni per la festa di fine del Ramadan, il 10 aprile. Bene! Ha detto Roberto Pagani, diacono permanente, responsabile del Servizio ecumenismo e dialogo interreligioso della diocesi di Milano. «Come i musulmani in Italia condividono e festeggiano insieme a noi cattolici il Natale e la Pasqua, trovo bello che un’iniziativa di dialogo interreligioso parta da una scuola, che si fa promotrice della creazione di un ponte tra giovani che a casa vivono fedi differenti». E ancora: «Se non prendiamo la strada della conoscenza reciproca e del rispetto, gli integralisti diventiamo noi». Auspicabile per Leonforte è questa apertura al dialogo sulla tradizione e l'attualizzazione della tradizione riguardante gli altari di san Giuseppe. Passata la festa, puntualmente, è arrivata la polemica sui modi non ortodossi di celebrare il santo copatrono. Sui social è pavlovianamente partita la trap del conformismo tradito, accompagnata dai peana dei cultori del tempo perduto che mai più tornerà, ma anche la testimonianza di chi ha partecipato alla preparazione dell'altare con impegno, fede e altruismo. Accusare "i giovani" di gioire al "consolo" del santo è ingeneroso. A Leonforte la notte del 18 marzo, in occasione della "firriata dell'artara", si può assistere alla coesistenza di preghiera e partecipazione composta con i canti e l'allegria sboccata, non occorre per questo evocare toni apocalittici basta ricordare che l'altare è il frutto del lavoro di tante braccia. Donne e uomini, nel nome di un santo operaio, lavorano alacremente e quotidianamente per aiutare chi ha promesso o ha ricevuto una Grazia. Queste persone condividono la speranza e la gioia di chi confida in san Giuseppe. Partecipare generosamente a questo momento è ecumenismo, con buona pace dei laudator temporis acta. A chiosa riporto le parole di Di Vittorio che difficilmente viene manipolato a uso e consumo di chi vuole avvallare il disprezzo per i più, come troppo spesso accade invece al buon Eco : «Bisogna che io dica che in questa ironia di giornali benpensanti, di giornali che esprimono gli interessi della classe privilegiata e dirigente della nostra società, c’è qualche cosa di fondato. Io effettivamente non sono e non ho mai preteso, non pretendo di essere un uomo rappresentativo della cultura popolare o non popolare. Però sono rappresentativo di qualche cosa. E di che cosa sono rappresentativo? Io credo di essere rappresentativo di quegli strati profondi delle masse popolari più umili e più povere del nostro paese… quelle masse cioè alle quali le strutture sociali ingiuste ed inumane della nostra società negano la possibilità non solo della cultura, ma anche dell’istruzione elementare, e che ciò malgrado, però, vogliono, si sforzano di studiare e cercano di raggiungere quel grado che le loro capacità, le loro possibilità permettono di raggiungere, grado modesto ma che apre però la strada a nuovi e travolgenti progressi. Di questi strati delle masse popolari umili e povere io sono rappresentativo; di queste masse popolari a cui le classi dirigenti e sfruttatrici negano non soltanto ogni gioia ma anche il bene, la luce del sapere e che per merito proprio, per sforzi propri, vincono le tenebre dell’ignoranza, e si pongono alla testa del progresso, alla testa di ogni moto che porti avanti la nostra società, porti avanti tutta la società umana. Di questo io sono proprio rappresentativo".



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