Lesta e guardinga se ne andava per il paese sempre affannata, sempre di premura.
“Donna Prizzita, che si dice? Donna Prizzita, che si fa?” Le domandavano i paesani; e lei, senza mai fermarsi, bofonchiava: “buongiorno”.
Così era donna Prizzita, ostica e necessaria.
In occasione della sua morte, venne portato a conoscenza dei più il suo tesoro: ciocche di capelli, fili di spago, immaginette e foglietti imbrattati di olio e cera. Venne bruciata ogni cosa; del resto, a chi potevano interessare quelle cose. Donna Prizzita non aveva parenti o amici, anche se di tutti, lei conosceva ogni cosa, ma di lei nessuno sapeva neppure il nome. Prizzita era una ingiuria, voleva dire cosa inutile.
Secca e tesa, correva da una parte all’altra del paese per dare aiuto alle partorienti di cristiani e di animali. Stabiliva i tempi della gravidanza, la posizione del nascituro e la durata del travaglio, e non sbagliava mai. ‘Nsertava anche il sesso, guardando la rotondità della pancia, e con la stessa lena faceva abortire le donne stanche di sgravare figli o vergognose di averli fatti.
Al paese, le case erano basse e avevano i tetti di canna e gli usci di pezza. A malapena servivano a nascondere la miseria degli interni, ma erano linde. Ogni donna, spazzando lo sporco di casa sua, lo gettava davanti la porta della vicina, che puntualmente faceva lo stesso con quella appresso, catuniando incessantemente.
La mattina cominciava presto. Gli uomini andavano a lavorare la campagna dei signori e le donne restavano a casa per fare surbizza, crescere bambini, accudire le bestie domestiche, nettare legumi e frumento, conservare le provviste per l’inverno, rammendare abiti e ferite e pianificare parentele. I panni si appendevano sui fili tesi fra il nespolo e la vite, che stavano davanti a ogni casa, e nel farlo si scambiava qualche parola sul tempo, i pensieri e i pettegolezzi. Si curtigghiava, insomma, pulendosi le mani sul grembiale legato alle reni, o sistemandosi la crocchia di capelli sulla nuca; e fu la mattina appresso al funerale di donna Prizzita, che Concetta e Pina presero a discorrere di lei.
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