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Immagine del redattoreAlain Calò

Alain Calò NON GIUSTIFICHIAMO I RAGAZZI



La polemica di questi giorni sta investendo lo stilista Dolce del noto marchio Dolce & Gabbana a seguito di sue dichiarazioni contro i ragazzi siciliani. Questo è un tipico caso dove una cosa per certi versi corretta diventa sbagliata a causa dei toni utilizzati. Premesso che i toni usati da Dolce sono di gran lunga migliori rispetto alla spocchia di Elkann, e quindi è sbagliato mettere sullo stesso piano i due interventi, ma, al netto di insulti ed esagerazioni, non si può non essere d’accordo sul fatto che i ragazzi siciliani siano un po’ “poco intraprendenti” (mettiamola così). Ma al posto di cadere nei giudizi di valore proviamo a considerare qualche dato che è abbastanza inequivocabile.

I ragazzi della provincia di Enna hanno il triste primato nazionale (condiviso con un’altra provincia del Sud) di avere poca dimestichezza con l’uso dell’italiano e della matematica, strumenti fondamentali per poter vivere in una società. E non veniteci a dire che tutti i problemi siano unidirezionali e causati da una istituzione scolastica che non abbia elevate performance. Che molti ragazzi siano svogliati è un dato di fatto.

Un altro dato è incontrovertibile, ovvero che la misura del reddito di cittadinanza è stata soprattutto una misura per il Sud e che molti ragazzi, anche nicosiani, hanno usufruito di questa misura.

Facciamo, inoltre, un esperimento: uscite in qualunque orario della giornata e, facendo un giro nei bar del paese, non è difficile trovare dei ragazzi che stiano lì seduti semplicemente a non fare nulla.

Possiamo anche dire che gran parte del problema è della società, che il Sud ha certamente dei deficit di opportunità, che degli atteggiamenti adottati da parte di chi ha il potere (ma anche dell’intero sistema delle nostre comunità) scoraggi la libera iniziativa e il fiorire in tutti i sensi dei nostri ragazzi, ma questa è una visione troppo superficiale e dannosa per i ragazzi stessi che si sentono giustificati a non fare nulla e a perdere il loro tempo seduti nei bar perché si sentono vittima della società. Questi ragazzi sono certamente “ vittima”, ma fino ad un certo punto, perché chi cade e chi non si risolleva muore. Chi cade e pur potendosi risollevare non lo fa o è cretino o è in malafede. Tutti noi che siamo nati al Sud siamo caduti, tutti noi che abbiamo provato a fare qualcosa in questo Sud e abbiamo trovato un muro di ipocrisia siamo caduti. La scelta è quindi se decidere volutamente di morire (e poi non c’è più vittimismo che tenga), oppure costruirci un’alternativa da qualche altra parte.

Tutto ciò può trovarsi in una massima popolare che recita “si nesci arrinesci” e questo fa comprendere che è nelle mani dei ragazzi il proprio destino, non in quello degli altri. Consegnare il proprio destino ad altri è segno di debolezza ed è l’anticamera dei regimi illiberali.

Nel momento in cui ognuno prende coscienza del fatto che si è artefici del proprio destino, lì si capisce che bisogna costruirsi un futuro e che tale futuro si trova dove ci sono le possibilità concrete per costruirlo. E quindi si va dove si può costruire. È come il contadino che semina nel terreno buono e non sull’asfalto. Chi resta e giustifica il suo far niente col fatto che ha le ali tagliate dalla società è come quel contadino che semina sull’asfalto e si lamenta di non raccogliere nulla (dimenticando che cento metri più avanti c’è un terreno fertile).

Bello restare, bello mantenere le proprie radici. Ma se in un’analisi di costi-benefici una tale scelta compromette il futuro di un ragazzo, anche se a malincuore, quel ragazzo ha il dovere di uscire e solo dopo che si è realizzato potrà ritenersi vincitore nei confronti di una società ingiusta. Altrimenti è complice.

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