Il 10 gennaio del 1987 usciva sul Corriere della Sera un articolo di Leonardo Sciascia intitolato i professionisti dell'antimafia.
L’articolo era dedicato al rapporto tra politica, popolarità e lotta alla mafia e si ispirava al libro di Christopher Duggan, ricercatore a Oxford e allievo di Denis Mack Smith, che raccontava la parabola di Cesare Mori, il prefetto di ferro. L'azione di Mori, secondo Sciascia, era servita a rafforzare l'ala conservatrice del partito fascista, imponendo la sua forma sul regime. Da questa considerazione Sciascia derivò la convinzione che l’antimafia, adoperata con abilità e spregiudicatezza, serve a fare carriera e ad infondere l'aurea di eroicità a chi la predica anche senza agirla. In quell'articolo veniva additato Paolo Borsellino per la " specifica e particolarissima competenza professionale nel settore della delinquenza organizzata di stampo mafioso" nell'ambito del malfunzionamento delle carriere in magistratura. A Sciascia per quell'articolo fu chiesto conto e ragione dal Comitato antimafia di Palermo che l'accussò di mitizzare la mafia per vendere più libri ( un Saviano ante litteram) e di avere conoscenze troppo precise sull'argomento, insinuando una familiarità con le cosche del suo territorio...col passare del tempo Sciascia e Borsellino si chiarirono e dopo l'attentato del luglio 1992 anche la vedova del giudice riconobbe che "Sciascia aveva capito tutto "
"E ne abbiamo qualche sintomo, qualche avvisaglia. Prendiamo, per esempio, un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi – in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei – come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall’acqua che manca all’immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno molto timidamente, oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo; e dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un’azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno. Ed è da dire che il senso di questo rischio, di questo pericolo, particolarmente aleggia dentro la Democrazia Cristiana: « et pour cause», come si è tentato prima dl spiegare. Questo è un esempio ipotetico".
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