Il due febbraio scorso il nostro padre Vescovo, monsignor Giuseppe Schillaci, ha alzato un forte grido di protesta e di richiesta di aiuto con una lettera aperta dal titolo “EMERGENZA DESERTIFICAZIONE” indirizzata alle più alte cariche dello Stato, ai Sindaci ed anche a tutti i singoli cittadini delle comunità territoriali ricadenti nella Diocesi di Nicosia.
Con quell’accorata missiva, Egli, citando il documento di Papa Paolo VI "Gaudium et spes", promulgato alla fine del Concilio Vaticano II, per testimoniare il “rinnovamento” della Chiesa, la sua apertura al mondo, alla cultura, all’ambiente, alla scienza (con, appunto, "Gioia e Speranza"), si è fatto carico della sofferenza umana, sociale ed economica della Sua comunità, di tutti e 12 le realtà cittadine ricadenti sotto la Sua giurisdizione ecclesiastica. In essa, vergata con vigore e sincera testimonianza di appartenenza, si è denunciato lo stato di povertà infrastrutturale dell’intera zona nord dell’ex provincia di Enna, già privata del fondamentale presidio di giustizia del Tribunale di Nicosia, gravata dal continuo depotenziamento di altri presidi, quelli della salute, come gli Ospedali di Nicosia e Leonforte ed in ultimo violentata dalla perdita del “sacrosanto diritto all’acqua”.
Scrive Schillaci: “quei territori rischiano una desertificazione sociale, demografica, culturale, democratica!” ed ancora “Troppo a lungo questo territorio è stato abbandonato dalle più alte Istituzioni, dalla Politica, dalla programmazione relativa ad infrastrutture e servizi. Eppure, abitano questa terra meravigliosa che sento mia, come Pastore di questo popolo, che Dio non abbandonerà mai, circa 70.000 donne, uomini, anziani e bambini”.
Il padre Vescovo con anima nobile, da vero Servo di Dio, già evidentemente legato al Suo gregge da profondi sentimenti “paterni” e nel pieno della Sua Missione pastorale, sicuramente esente da atteggiamenti intrisi di clericalismo, pone a tutti spunti di profonda riflessione.
Chi scrive però ha paura che questa appassionata richiesta di aiuto, ma anche proposta di cambiamento, rimanga per così dire “lettera morta” o, tutt’al più, fonte di momentanei apprezzamenti in sperticate esercitazioni lessicali via social.
12 anni fa, esattamente il 7 settembre del 2013, all’indomani dello “scippo” subito dalla comunità da parte di uno Stato “distratto” che permise la chiusura del Tribunale, il predecessore di Monsignor Schillaci, il vescovo Salvatore Muratore, scriveva al Prefetto una lettera con la quale anch’egli esprimeva con analoghe tematiche (a parte la questione dell’emergenza idrica) e quasi identiche parole il suo grido di allarme. Le “mulattiere”, la “disoccupazione”, la “situazione agricola” le “vicende del Tribunale e del Carcere”, i ”Problemi dell’Ospedale” la “fuga delle intelligenze”: erano tutti problemi che gravavano sul territorio. Egli scriveva: “Se si dovesse dare una nomenclatura alla situazione che vive da anni e sta vivendo ancora il territorio di Nicosia e dintorni potremmo descriverla con due semplici parole: DESERTIFICAZIONE E ABBANDONO”. E ancora: “Dove sono i nostri politici? Dove è lo Stato? Dove sono le Istituzioni?”
In questi dodici anni evidentemente il primo grido di allarme ha ancora avuto bisogno di una sua riproposizione ancora, se possibile, più forte.
Nelle due LETTERE di “richiamo” si può pensare che si stia parlando dello stesso processo involutivo?
Credo innanzitutto che sia necessario chiedersi: quale accezione veramente dare alla parola DESERTIFICAZIONE?
Il nostro territorio ha storicamente sempre “sofferto” la condizione di subalternità tipica delle zone interne ma con un’aggravante: quello di essere entroterra di un altro “entroterra” rappresentato dalla Sicilia che, da isola qual è e dalla sua storia millenaria, ha, allo stesso tempo, causato e patito arretratezza culturale e sociale.
E’ una desertificazione demografica?
L’emigrazione, cioè l’abbandono della propria terra, è per noi siciliani un fenomeno per così dire “fisiologico”. Dal 1876 l’isola è protagonista di un esodo senza precedenti. Nicosia si contraddistingue nel soffrire di questo male più di tutte le altre cittadine dell’allora Circondario: nel solo 1895 tra i poco più di 15.000 abitanti abbandonano, per sempre, la propria terra natia 861 poveri cristi cioè circa il 6% della popolazione, quando, da tutto il resto del Circondario, costituito da circa 85.000 anime, ne emigrano poco più di 700. Si rifletta sul dato coevo relativo al circondario di Piazza (Piazza Armerina), poco interessato (ad esclusione di Valguarnera e Aidone) al fenomeno migratorio: il suo capoluogo, al contrario del nostro non conobbe in quegli anni emigrazione (nemmeno adesso Piazza Armerina patisce di un consistente calo demografico: vorrà dire qualcosa?).
Oggi invece il fenomeno è meno consistente anche se ugualmente preoccupante con numeri che però si “nascondono” all’interno di un altro fenomeno, quello della denatalità. Se tra la fine ottocento ed inizi novecento con una popolazione di poco superiore a 15.000 abitanti, a Nicosia nascevano in media 600 bambini in un anno (con punte di oltre 700) e morivano circa 400 persone, nel 2023 (con circa 12.500 residenti) hanno festeggiato il lieto evento della nascita solo 78 giovani coppie con un numero di decessi doppio (161). Il decremento demografico attuale è frutto di un problema “globale”, strutturale, soprattutto “sociale”: si fanno meno figli non solo per le eventuali difficili condizioni economiche ma perché la società “impone” questo status. Centocinquanta anni si era più poveri ma si facevano paradossalmente più figli, nonostante o a causa di una elevata mortalità infantile. L’abbandono di tanti veniva “compensato” con l’elevatissima natalità ed al barone di turno non mancavano mai “braccia” per mantenere la propria ricchezza prevalentemente derivata da rendite fondiarie.
E’ una desertificazione culturale?
Si parla di “fuga di cervelli” come una concausa dell’impoverimento sociale di una comunità. Si può essere d’accordo accettando l’evidente correlazione con un oggettivo impoverimento delle forze che una comunità invece dovrebbe mantenere e non farsele scappare per sperare in una sua crescita socio-economico-culturale. Ma a ben riflettere i “cervelli” son sempre “fuggiti” da ambienti, anche non retrivi ed esclusivisti, in ogni tempo ed a ogni latitudine perché questa è la loro naturale attitudine. La nostra comunità se n’è fatti “scappare” a decine, centinaia nei secoli: nel cinquecento “fuggivano” il musicista Pietro Vinci ed il medico Marcello Capra; nel settecento Francesco Testa non sarebbe diventato un eminente esponente del clero siciliano se la sua “intelligenza” non avesse oltrepassato i confini territoriali della sua terra natia; nell’800 Mariano Pantaleo non sarebbe diventato un luminare della medicina se non avesse intrapreso da giovane studente, sul dorso di un mulo, un lungo viaggio verso Palermo e lì sarebbe rimasto; nel ‘900 Vittorio Veutro non sarebbe diventato un grande magistrato militare se non fosse andato via dalla sua Nicosia da giovane uomo di legge; solo per citarne alcuni.
Paradossalmente anche il fenomeno della migrazione ha aspetti positivi perché “liberando” dalla gabbia della povertà e dell’esclusione sociale milioni di persone che altrimenti sarebbero state destinate ad una anonima vita costellata di angherie ed intrisa di sottosviluppo culturale, ha anche fornito una “redistribuzione culturale” di ritorno alle originarie comunità di appartenenza. Se un ciabattino di nome Luigi Pecora non si fosse deciso nel 1886 ad attraversare l’oceano per liberarsi dalla miseria, il figlio Ferdinando non sarebbe diventato giudice della corte suprema di New York e nessuno, nella sua città natale, lo avrebbe commemorato con un busto; se negli stessi anni i nicosiani Carmelo Bruno ed Epifania Bruno, emigrati a Cordoba in Argentina, non si fossero incontrati oltreoceano e sposati in quella città non sarebbe nato il loro figlio Cajetano che da salesiano diventerà poi il più grande storico della chiesa argentina, amico e mentore di Jorge Bergoglio, il nostro Papa Francesco.
Credo che la richiesta di aiuto, seppure proveniente da così alte voci, non può bastare se nulla cambia nell’approccio, nella mentalità e nell’atteggiamento di ognuno di noi. Il rischio di chiedere aiuto a chi quell’aiuto non lo ha mai dato o non è stato capace di darlo o non lo ha mai voluto dare è altissimo.
Le mulattiere si trasformeranno in strade degne di quel nome, le condotte d’acque saranno funzionali e non un colabrodo, solo se lo vorremo NOI, perché NOI siamo le Istituzioni, NOI siamo la classe politica, NOI siamo la classe dirigente di questo paese.
Una comunità può vivere ugualmente bene anche se diventa sempre meno numerosa o "perde" forti individualità, basta scegliere la giusta guida capace di tutelare gli interessi della comunità e valorizzare ciò che si ha. Non è pensabile che la “desertificazione sociale, demografica, culturale, democratica” dipenda solo dagli altri. Idee, progetti, visioni future, tutela dei beni culturali, capacità di procacciare finanziamenti si possono avere se c’è preparazione, se si è disposti ad un alto spirito di sacrificio e non si precludono gli spazi a persone capaci e disinteressate (che esistono). Tutto deve partire dal basso, dalla piccola o grande comunità: è NOSTRO compito non è compito di altri!
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14Carmelo Sorbera, Vincenzo Rizzo e altri 12
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