Ora che arriva l’estate e le scuole sono chiuse, non mancherà molto che orde di ragazzini daranno vita a malsane movide. E chissenefrega se, tra le altre cose, ancora circola il Covid. Tanto, anche grazie all’ingenuità di uno Stato che pensa di risolvere tutto lavandosi le mani e richiamando tutti al senso di responsabilità (vediamo già bene come sta andando a finire), non mancherà molto che il Covid riesploderà soprattutto tra i giovanissimi. Ma, andando a ben vedere, sembra quasi, richiamandoci a Tacito, che tutti i problemi sono già presenti nell’ “utero delle madri” e, per certi versi, estendendo il ragionamento, il problema di questi ragazzi sta nei loro genitori che non sanno amare i propri figli. Ora qualcuno dirà che l’affermazione è troppo radicale ed è giustificabile perché proviene da uno che non è genitore (quando c’è qualcosa che stona bisogna sempre metterlo sotto il tappeto), ma la prova è sotto gli occhi di tutti quando nascere delle animate discussioni di fronte ad un dato incontrovertibile: l’uso che fanno certi genitori dei propri figli su Facebook. Questi figli, apparentemente amati, in realtà sono utilizzati per assecondare l’ego smisurato del genitore (d’altronde il figlio è stato fatto da lui quindi è suo). I successi dei figli vanno spiattellati in lungo e in largo a dimostrare che loro (i genitori) hanno creato il meglio del meglio rispetto agli altri. E il “meglio del meglio” deve essere poi quantificato dall’occhio della gente attraverso i vari mi piace social. I figli devono avere il motorino, non un vespino ma un bolide, vestiti all’ultimo grido, portafogli pieni per poter pagare di tutto e vacanze all’estero perché “se lo sono meritati” (non si capisce quale sia questo merito). Un insegnamento che mi è sempre stato dato sin da piccolo è che a certificare i meriti non devono essere coloro che possono essere di parte (in primis i genitori) ma gli altri e aldilà di tutto una cosa non si fa nella spasmodica ricerca di un riconoscimento da parte degli altri quanto invece per una soddisfazione personale. Questo è forse il vero principio prima della crescita: curare l’essere e non l’apparire. Fregarsene dei “mi piace” degli altri e coltivare i propri talenti per se stessi. Il genitore che celebra le doti del figlio urbi et orbi sta solo usando il figlio come trampolino di lancio per sé, riducendo il figlio non a qualcuno da amare ma a qualcuno da usare per il proprio egocentrismo. Ed il figlio, che come la spugna, assorbe il fatto che nella vita è meglio apparire che essere, sui social, o per l’occhio della gente, cercherà in maniera nevrotica anche lui di essere sempre il meglio del meglio nascondendo tutto il vuoto di un amore genitoriale mancato e che alla lunga si vedrà in tanti comportamenti poco maturi (e questo è sotto gli occhi di tutti). Questi figli sono come le case dalle facciate bellissimi, con stucchi e altro, ma dove dentro non c’è una stanza, né una trave e manca persino il gabinetto…
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