Esiste un dettaglio frequente, di non poco conto, della nostra coscienza legato al dilemma tra il dire la verità (o per meglio dire le nostre convinzioni) e le conseguenze che ciò scatena. È un dilemma che non prescrive certo che occorra mentire, ma spiega la preziosità della sincerità e quanto essa costi molto in termini di conseguenze.
La sincerità del resto è come l’ossigeno. Allo stato puro è un veleno.
Così il vero punto non è “se sia giusto dire la verità” ma quanto questo costi caro al pensiero e all’azione di chi si convince di interpretarla al meglio. Dire la verità, o ciò di cui si è convinti, provoca conseguenze, interrompe rapporti, comporta rinunce. Chi vi si sottopone, alla fine, compie un atto di coraggio.
Chiudere un fidanzamento, un’amicizia, un matrimonio, una società di affari, perchè si ritiene quel rapporto troppo stretto per la propria autonomia o per il proprio spirito libero, richiede intanto un’educazione alla sincerità con se stessi. Sul momento si pagano conseguenze, a lungo termine si respira a pieni polmoni il fascino di poter essere padroni della propria vita. La libertà non si apprezza fino a quando non la si perde.
Ci si stava accorgendo dell’importanza della libertà proprio ora che la stavamo perdendo con questi schizofrenici provvedimenti restrittivi millantati come “prevenzione sanitaria” ed è per questo che in Italia in tanti li tifavano. Perchè non conoscono la libertà. Perchè come diceva Montanelli, a tanti italiani “l’unico albero che interessa è la pianta stabile”.
Quando sento molti giovani parlare di “futuro rubato”, in realtà, non stanno reclamando merito, rigore, libertà di intrapresa.
Non scendono in piazza per rivendicare il proprio sacrosanto diritto di potersi liberamente iscrivere in un ateneo. Non gridano per liberarsi di uno Stato che ha talmente scoraggiato l’iniziativa privata da rendere irragionevole pensare perfino di aprire una partita IVA. No, molti, in realtà, rimproverano di non aver reso possibile (meglio, facile) dare anche a loro l’opportunità di un posto comodo alla Regione o a qualsivoglia struttura pubblica del parastato.
Di non essere stati in grado di regalargli un mondo nel quale quell’inganno professionale che è il conseguimento di una laurea triennale apra tutte le porte di una brillante e redditizia carriera dirigenziale, in pianta stabile. E soprattutto, di non essere stati ancora capaci di creare una società in cui il datore di lavoro esista unicamente per dare loro un salario, non certo per realizzare profitto per se. Perchè la libertà, come la sincerità, richiede anzitutto uomini liberi e sinceri.
Capaci di guardare in faccia le proprie gabbie e decidere di non accontentarsi del rancio offerto dai carcerieri, dello sguardo di chi, se ci conoscesse, ci odierebbe. In ultima sintesi, capaci di sentire quella che Paolo Borsellino definì “la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale”. Per raggiungere la libertà, il primo passo è essere uomini liberi.
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