Piccola premessa : e` difficile portare i cambiamenti nel nostro paese, e` complicato farli comprendere ed accettare. e` quasi impossibile metterli in pratica, perche` quasi sempre si preferisce applaudire il principe e sorridere del Don Chisciotte. Ho detto quasi, si quasi, perche` quelle poche volte che invece e` accaduto il contrario lo si deve alla generosita` ed alla lungimiranza di uomini come Liborio La Vigna. UNO,DIECI, CENTO COME LUI.
L'architetto volante.
Liborio deriva dal nome latino Liborius, il suo culto, raggiunse la Sicilia tramite i Normanni e gli Angioini. Dall’ etimologia incerta, le fonti sono discordi in proposito, potrebbe trattarsi di una corruzione di Liberio o di Libero, o comunque di un derivato del termine latino libertas ("libertà").
L’architetto Liborio, così voglio chiamare il personaggio di questo breve racconto era un funzionario del Banco di Sicilia, io, lo ricordo già in età adulta, sui quarant’anni, magro, già stempiato e sempre con la sigaretta fumante.
Sposato, con pochi parenti e tre splendidi figli, sempre ben vestito ed elegante. Il suo sogno era fare l'architetto, per questo aveva studiato e si era laureato a pieni voti. E fù per questo suo grande desiderio che appena ne ebbe l’occasione, lasciò la grigia scrivania di funzionario per coronare finalmente il suo sogno: fare l’architetto.
Era un uomo di grande di valore e dall’infinita forza ideale, mai avrebbe voluto smettere di scrivere, si perche` di scrivere, disegnare e progettare ne era fiero.
Ogni singolo tratto di matita o di inchiostro nero che usciva dalle mani dell’architetto Liborio era un suo punto di orgoglio per se e per quanti ne prendevano visione e lettura. Il suo carattere era gioviale ed aperto, gli piaceva tanto conversare con gli amici e commentare gli avvenimenti del paese.
Però Liborio , anche se era un tecnico e persona molto pratica , aveva un animo idealista se lo sentiva dentro: amava follemente la politica . Appena la mattina metteva i piedi per terra gli era spontaneo ed automatico correre dal giornalaio.. Se una notizia lo attirava particolarmente, era preda di una grande esaltazione che lo accompagnava per tutta la giornata.
In occasione di certe ricorrenze politiche , nella piazza principale era uso allestire un palco di legno e ferro , arricchito spesso da bandiere e drappi.. Per Liborio quelle erano le grandi occasioni per discutere, confrontarsi, agitarsi …. Lo si vedeva a volte in prima fila, proprio sotto il palco, o lontano ai margini di quella splendida piazza che ne ospitava i comizianti.
Fu proprio in occasione, di non ricordo bene quale tornata elettorale o referendaria che ebbi modo di seguirlo attentamente. Distrattamente, la mattina andando a lavoro mi accorsi che arrivavano in piazza due camioncini pieni zeppi: assi, pedane, fili elettrici, lampade, torce, transenne, due tavoli, qualche sedia pieghevole.
Gli operai iniziarono a battere sul selciato e a fare dei grossi buchi in terra per mettere pali e pedane. Fu scelto il posto più vicino alla chiesa, quello più alto rispetto alla strada che circonda la piazza. I tanti cittadini , usciti di casa per andare al lavoro, furono sorpresi da tutti quei lavori. I più curiosi si fermarono a guardare, altri girarono intorno per cercare di capire di cosa si trattasse.
Finalmente, qualcuno ricordò di aver letto su un volantino, lasciato sui tavoli dei bar del paese, che in quella piazza il sabato ci sarebbe stato un comizio, sì proprio un comizio, tenuto non da un politico ma dall’ architetto Liborio. I più, soddisfatti di aver avuto una risposta a quel trambusto, si tranquillizzarono e tacquero. In fondo la cosa non era importante, chi comandava erano altri e tutto il resto non li riguardava.
La vita riprese con gli affanni di sempre. I lavori andavano molto a rilento. Era come se gli operai, avessero avuto l'ordine di andare piano, in modo da creare negli abitanti un po’di fastidio, misto a curiosità..
Il venerdì sera, dopo la chiusura del mio negozio andai in piazza a dare un'occhiata, era tutto pronto. Andai via, curioso di come l’indomani sarebbe sta la giornata e di cosa avrebbe detto Liborio. Il sole pomeridiano di quel sabato primaverile, attraversava tutte le finestre dei palazzi che circondano la piazza Garibaldi.
Sul palco, sventolavano due grandi bandiere, una con la trinacria e l'altra con uno schiavo che rompe le catene. Il loro fluttuare al vento, copriva quel poco di cielo rimasto tra la chiesa e l’impalcatura.. Pian piano si fece strada l'oscurità, mentre una nebbiolina leggera coprì l’orizzonte.
La piazza, a poco a poco, si risvegliò dal torpore, il cappellano aprì la grande porta della chiesa ai fedeli, il bar più vicino alla strada, mise i tavolini fuori, mentre un odore penetrante di caffè si spargeva nella via. I primi vecchi comparvero in piazza, mentre si intravedeva qualche donna e molti uomini curiosi. Nessuno chiedeva o faceva domande, un’occhiata e niente più a quella strana impalcatura. Era il sabato del paese fatto di abitudini semplici, da sempre uguali a se stesse. Ma quel sabato quel palco inquietava le anime. Non si poteva far finta di niente Si girava a largo, si guardava a distanza, si osservava dalla parte più alta della piazza, oppure stando seduti al tavolino del bar...
Arrivarono le 19, l’ora del comizio, la piazza rimase deserta, la chiesa chiuse il portone, il bar tolse i tavolini. Un vecchio, prima di girare le spalle, dette un’ultima occhiata a quel palco incustodito, solitario, spettrale come un fantasma. Era già sera, i pochi, pochissimi intervenuti parlavano sottovoce. Alcuni dalle finestre sbirciavano per curiosità. Qualcuno sussurrò: “Arriverà ? Quando arriverà? Che cosa vorrà? Che cosa ci vorrà far sapere ? E noi che c'entriamo con tutto questo? Noi siamo qui a sgobbare. Il tempo libero è poco, non si può buttare per un comizio. Ma quello là non ha nient'altro da fare?”
Finalmente l’altoparlante ruppe il silenzio. Liborio salì sul palco , sudato, seccato, arrabbiato. La luce illuminava la sua faccia esile , dal mento ricoperto da una fitta barba. Bevve un po’ d'acqua per schiarirsi la gola e cominciò il suo discorso.” Concittadini, è tempo che il nostro Paese cambi, che tutti noi diamo il nostro contributo a questo cambiamento …………..” Liborio continuo a parlare per minuti … a un tratto si fermò, in attesa di sentire dalla esile platea una risposta, un fischio, un battito di mani, un'ingiuria, o un complimento, impallidì.
Una forte agitazione lo prese. Siccome il buio impediva la vista di ciò che gli stava davanti, un dubbio atroce gli attraversò la testa. Tentò di parlare ancora. Forti parole rimbalzano in quel silenzio notturno. Niente, dalla piazza non arrivò nulla Allora Liborio, scese dal palco per andare a vedere cosa c'era là sotto, avanzò dapprima con cautela stando bene a dove mettere i piedi, poi, più spedito, tentò di fare il giro, quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla, continuava a non capire. Allontanò quella mano dalla spalla e continuò il giro. Là in piazza non c'erano i paesani..
Gli correva dietro uno dei suoi pochi amici, gli aprì la porta dell’auto e lo fece salire, andarono via. Già Domenica mattina del palco più niente, neanche il ricordo. Qualcuno ancora mormorava “Chissà cosa voleva dirci”, disse un altro. “e poi quelle storie di cambiamento, di una nuova cittadinanza, di essere uomini liberi, di sognare e anche di volare.. ”, ripeterono alcuni, “ “sognare di volare..qui? da Noi?......e bene che sia andato via subito. Qualcuno non ricorda se ha parlato, né cosa ha detto”.. “Io l'ho visto e l'ho sentito Liborio, disse un giovane “ voglio volare come lui …”, Gli altri lo guardarono, gli girarono le spalle ed andarono via sorridenti …. quel giovane rimase solo … anche lui come Liborio .
Il paese tornò alla calma di sempre e la piazza, liberata dal palco, riprese il suo posto per i giochi dei bambini e il passeggio delle persone, che l’ attraversavano col freddo e col caldo, la pioggia e il sereno.
Il comizio era già lontano, dimenticato da tutti.
Le ansie scomparvero e nessuno inizio` a volare.
La tranquillità tornò nella vita di tutti.
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