In molti paesi della Sicilia san Giuseppe viene onorato con le tavolate imbandite di pane e primizie, ma solamente a Leonforte ai pani e alle primizie si aggiunge U Traficu.
U traficu è il lavoro. Il lavoro che serve per realizzare l'Artaru. Si comincia il primo venerdì del mese di marzo col nettare i legumi e si procede con la raccolta di cardi e finocchietti selvatici. A decine, uomini giovani e vecchi, partono alla ricerca di campi ricchi di verdure spontanee e carichi di erba ritornano per lasciare alle donne il compito di mondarle, lavarle e cucinarle . Pulire i cardi è cosa difficile. Ci vuole maestria ed esperienza altrimenti si rovina la "cosca" che deve restare unita al vertice e ben separata nei rami. Pulire i cardi è laborioso perché ci sono le spine e i nervetti e lasciare spine e filamenti significa rovinare un'intera padellata di frittura e vuol dire tirarsi dietro la "murmura" dei visitatori paesani; i forestieri queste finezze non le comprendono. Sono tante le donne che aiutano a pulire i cardi e i finocchi, ma sono le più esperte che ripassano ogni costa per verificare ed eventualmente rimediare alla superficialità delle inesperte. Nella settimana che precede la festa si lavora alacremente al paese. Il calendario è rigido e dopo i cardi tocca ai finocchietti, più semplici da pulire. Le verdure vanno lavate e rilavate e in tanti si recano alla Granfonte per usarne l'acqua corrente e per riappropriarsi di quel bene inestimabile che il fondatore incanalò per uomini e bestie. Nella giornata del 17 e per tutta la nottata si frigge e si frigge e non c'è contrada o "vanedda" che non odori di fritto. A Leonforte in questi giorni si respira ossigeno e olio fritto: ovunque si sente "sciauru" di polpette di finocchi e cardi. Tutti i leonfortesi conoscono questa fragranza e i paesani all'estero la ricordano con nostalgia. Preparare a casa queste pietanze è possibile ma il sapore è diverso, manca il valore aggiunto del traficu. L’artara rappresentano un atto di fede che si manifesta nell’adempimento di un voto fatto per grazia ricevuta o da ricevere. La tavolata valorizza ed esalta la laboriosità e la creatività dei leonfortesi, capaci di fare comunità in questa occasione e va onorata anche per questa ragione. A quanti visiteranno l'artaru va ricordato che l’artaru è un altare domestico perché viene benedetto dalla fede di chi lo realizza e poi dal prete quindi è necessario che il comportamento di ognuno sia improntato al massimo rispetto. Sacerdotessa dell'alatre è la padrona di casa che serve tutte e tutti e coordina e ammutolisce i pettegolezzi e eleva i canti e le preghiere al santo. Sappiano i pochi che ancora non lo sanno che MAI e poi MAI va detto di “no” all'offerta di un “pupidduzzu” o ad un pezzo di pane, vorrebbe dire rifiutare la “razia di Ddiu” e mai si dice “grazie” perché così vuole la tradizione. Auguri a chi ha fatto promessa o a chi ha ricevuto una grazia. Vengono da lontano i leonfortesi per rivivere questa presenza del mistero nel pane benedetto e nella grazia ricevuta. W San Giuseppe quindi e W Leonforte che il 18 e il 19 marzo diventa comunità.
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