In molti paesi della Sicilia san Giuseppe viene onorato con le tavolate, un'apoteosi di tradizione e fede.
A Leonforte per allestire una tavolata ci vuole Traficu.
U traficu è il lavoro, carico di fatica e soddisfazione, che necessita per realizzare l'artaru. Si comincia il primo venerdì del mese di marzo a nettare i legumi e si procede con la raccolta di cardi e finocchietti selvatici. A decine, uomini giovani e vecchi, partono alla ricerca di campi ricchi di verdure spontanee e carichi di erba ritornano per lasciare alle donne il compito di mondare, lavare e cucinare chili di verdure. Pulire i cardoni, carduus pycnocephalus, è laborioso assai perché i cardoni sono spinosi e filamentosi e lasciare spine e filamenti significa rovinare un'intera padellata di frittura. Sono tante le donne che aiutano a pulire i cardi e i finocchi, ma sono le più esperte che ripassano ogni costa per verificare ed eventualmente rimediare. Nella settimana che precede la festa si lavora alacremente al paese. Il calendario è rigido e dopo i cardi tocca ai finocchietti, più semplici da pulire. Le verdure vanno poi lavate e rilavate e in tanti si recano alla Granfonte per usarne l'acqua corrente e poi si frigge. A Leonforte nelle giornate del 16 e 17 di marzo (quest'anno 15 e 16 perché la processione si terrà il 18 essendo il 19 domenica di quaresima) si respira ossigeno e olio fritto: ovunque si sente "sciauru" di polpette di finocchi e cardi. Tutti i leonfortesi conoscono questa fragranza e i paesani all'estero la ricordano con nostalgia. Preparare a casa queste pietanze è possibile ma il sapore è diverso, manca il valore aggiunto del traficu. L’artara rappresentano un atto di fede che si manifesta nell’adempimento di un voto fatto per grazia ricevuta o da ricevere. La tavolata valorizza ed esalta la laboriosità e la creatività dei leonfortesi, capaci di fare comunità in questa occasione e va onorata anche per questa ragione. A quanti visiteranno l'artaru va ricordato che l’artaru è un altare domestico perchè viene benedetto dalla fede di chi lo realizza e dal prete quindi è necessario che il comportamento di ognuno sia improntato al massimo rispetto e poi che MAI e poi MAI va detto di no di “no” all'offerta di un “pupidduzzu” o un pezzo di pane, sarebbe come rifiutare la “razia di Ddiu” e mai si dice “grazie” perché così vuole la tradizione. Si dice auguri. Un augurio particolare alla famiglia Cangeri e all'infaticabile Graziella Muratore.
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