Questa celebre espressione è presa dalla canzone “Dio è morto”. E questa canzone già di per sé racchiude una storia simbolo dell’ipocrisia in quanto veniva trasmessa dalle Radio Vaticane e censurata da quelle italiane. Ma non è una lezioncina di storia della musica il nostro intento, quanto quello di analizzare un fenomeno che, soprattutto nelle nostre realtà, sembra che si sia acuito sempre più a buona pace del progresso sociale, economico e tecnologico. E tutto parte da una riflessione sfociata nel momento in cui, in una discussione con un presunto personaggio importante (ma che in maniera molto ridicola si “abbassò” – data l’importanza – a disquisire con me), questi, non d’accordo con la mia opinione al posto di controbattere con fatti, fece in modo di creare un’atmosfera in cui mi facesse sentire solo, fuori da tutto. Tra l’ovvio stato d’animo di parlare con una persone che aveva un “titolo” di potere, tra anche il fatto che il colpo era abbastanza basso e meschino, la cosa mi turbò. Ma il turbamento che vi è stato per certi versi mi ha ampiamente giovato perché ha permesso di riflettere su due aspetti: uno sulla meschinità di chi ha creato quell’atmosfera, due il fatto che i veri “soli” sono questi qui che magari sono circondati da tante pecorelle. Ma ancor più di “soli”, queste persone, e ahimè nella riflessione ho visto che sono molte, sono tecnicamente morte o forse mai nate perché hanno vissuto una vita non loro ma imposta da altri. Vittime dell’ipocrisia della società omologatrice che impone dei canoni e chi è fuori da questi deve essere per forza giudicato pazzo e isolato per evitare che inquini gli altri. Nasciamo e siamo maschi e siamo femmine. E da quando nasciamo la vita è già vissuta. Bisogna far famiglia e il maschio deve avere per forza moglie (meglio se pura e casta) e la femmina deve avere per forza marito, obbligatoriamente di buona famiglia e con lavoro. Anche il lavoro deve essere dietro ad una scrivania, dopo anni di studi meglio se condotti all’Estero (ma la parte Ovest perché l’Estero dell’Est non va bene). Poi bisogna avere dei figli, meglio un maschio e una femmina, da mostrare tutti quanti in chiesa la domenica. E il matrimonio rigorosamente in chiesa e guai anche solo a pensare al divorzio perché è un’onta. Poi bisogna essere timorati di Dio e servili con i potenti, non pensare con la propria testa ma con quello che dicono gli altri. E se anche un solo punto della catena si spezza o non va come deve andare, subito il biasimo popolare a chiamare la “mala sorte” senza pensare che magari la “mala sorte” è stata creata da questa società troppo ossessiva compulsiva, con un occhio della gente che pare il moderno Grande Fratello. E i più deboli, quelli che sopravvivono al suicidio (perché il suicidio è frutto di tutto ciò), fanno azioni stupide che seminano ancora più infelicità. Per non divorziare si preferisce vivere in letti separati e convivere con l’assenza d’amore (l’importante è ritrovarsi tutti a messa la domenica). Se proprio non c’è stato verso e si è dovuto ricorrere al divorzio subito a ricostruirsi una vita per non rimanere soli, anche pagando un nullafacente e mantenerlo per la sola compagnia e mostrarlo a messa la domenica. Se non si hanno avuti figli, comprare anche questi (cioè sobbarcarsi una con figli) così non solo per la messa di domenica si mostra la prole ma anche si verrà additati come salvatori della patria. Se non si è eteri l’amante va in segreto ma a messa la domenica si va col consorte dell’altro sesso. Ed è questa la vera felicità? Vivere in maniera frenetica per soddisfare il proprio egoismo di una vita imposta dagli altri, pensare come gli altri, essere pecore come gli altri? E guai a pensare che il problema sta anche nella messa della domenica perché la chiesa ha sempre ragione e il ragazzo abusato è sicuramente un maleducato dalla fervida fantasia. Tutto ciò dove conduce: a mostrare il deserto di questa gente che per paura di restare sole, dove con “sole” significa lontane dal pensiero comune, sono disposte a barattare anche se stessi creando sofferenza a sé e agli altri. Non penso che una coppia sia felice di vivere senza amore, che mantenere uno per compagnia sia qualcosa di bello e colmare l’apparenza di essere genitore con figli d’altri senza amore faccia crescere soggetti sani per la nostra società. E questa gente è il soggetto tipo che si prostra ai “titolati”, a coloro che mostrano di avere un po’ di potere nella società nevrotica. Ma chi sarebbe felice di circondarsi di persone senza vita e che ci circondano solo perché si ha un determinato “titolo”. Chi vuole accusare l’altro di essere solo perché pensa e agisce in maniera diversa rispetto alla società, anzi rispetto all’ipocrisia della società, non si accorge che il vero solo è lui. Ha una paura matta della solitudine e per questo si circonda di tanti altri “soli”. Ignorando la saggezza popolare che dice “meglio soli che male accompagnati”.
top of page
bottom of page
Comments