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la redazione

L'OPERAZIONE GHOTA E IL SOGNO EVERSIVO DEL BARONE STEFANO LA MOTTA.

Aggiornamento: 3 set 2023



Ricordo ancora quei giorni che seguirono l'annuncio che Vittorio Emanuele Savoia e suo figlio Emanuele Filiberto stavano per tornare in Italia, e Palermo sarebbe stata una delle prime città che avrebbero visitato.

Proprio il nostro capoluogo era strapieno di manifesti a cura del comitato di accoglienza che da mesi era in fermento.

Filomonarchici, parlamentari sottosegretari e politici di Alleanza Nazionale, e soprattutto gli aristocratici, non vedevano l' ora di aprire le loro case (magari Palazzo dei Normanni), per gli inchini e i baciamano di rito.

Il legame tra la Sicilia e i Savoia, era forte e consolidato.

E proprio a proposito di questo legame, credo sia utile per tutti noi, ricordare un episodio in cui gli ultimi sussulti della casa monarchica, ancora regnante in Italia, si intrecciarono con le vicende del separatismo siciliano.

Sussulti che avrebbero potuto portare a una rottura dell' unità d' Italia, e tra i cui protagonisti c'era pure l' allora decenne, Vittorio Emanuele.

Si tratta del tentativo, promosso dalla destra del Movimento indipendentista siciliano, di allearsi con la monarchia poco prima del referendum istituzionale del 2 giugno 1946.

La causa separatista e Casa Savoia cercavano di sostenersi reciprocamente in vista di un futuro incerto per entrambe. Esponenti del separatismo quali il latifondista Lucio Tasca, il duca catanese Franz di Carcaci,il principe Michelangelo di Linguaglossa e il barone nicosiano Stefano La Motta, offrirono, in vista della consultazione elettorale, all' allora re d' Italia Umberto II (il «re di maggio») i voti dei separatisti siciliani.

Ma a certe condizioni. In caso di vittoria monarchica la Sicilia si sarebbe costituita come Stato, legato da una unione personale con la Corona d' Italia. In caso di sconfitta dei Savoia i separatisti, con un golpe, avrebbero separato l' Isola dal resto d' Italia, e proclamato Umberto primo re di Sicilia.

Di tale momento storico e dell' episodio scrisse nel 1964 Tonino Zito, brillante giornalista palermitano scomparso qualche anno fa, sul periodico "Sicilia domani".

Egli cita come fonti un' inchiesta sul separatismo condotta dall' avvocato catanese Ugo Reina sul settimanale dell' Unione siciliana dei cristiano sociali (Uscs), movimento fondato da Silvio Milazzo.

Zito afferma in questo suo racconto di avere altre come fonti, come Antonino Varvaro, esponente di sinistra del separatismo isolano, poi passato nelle file del Pci e altri dirigenti separatisti palermitani, tra cui Filippo Gaja, l' autore de "L' esercito della lupara" (Area, Milano, 1962).

Ma vediamo come sarebbero andati i fatti secondo Zito.

Va ricordato che il separatismo siciliano, fino a quando la leadership fu nelle mani di Andrea Finocchiaro Aprile e di Antonino Varvaro, era palesemente antimonarchico, al punto che i due, il 30 settembre 1945, furono arrestati e confinati sull' isola di Ponza.

A questa decisione pare abbia contribuito anche l' allora principe Umberto, preoccupato che il progetto di separazione dell' Isola dall' Italia potesse fargli venir meno una regione tradizionalmente monarchica. Ma proprio il confino di Finocchiaro Aprile e Varvaro (liberati il 27 marzo 1946) lasciò campo libero alla componente di destra del separatismo, che faceva capo a Lucio Tasca, e a gli altri citati sopra in questo articolo tra cui Il barone Stefano La Motta, tutti notoriamente di fede monarchica.

In questo contesto nasce l' idea di un accordo con la monarchia sabauda.

La proposta rivitalizzò, nella nobiltà siciliana, il fascino dell' istituzione monarchica.

Dal canto suo Umberto era ben conscio di quanto i suffragi isolani avrebbero potuto essere determinanti per salvare la monarchia.

La maggioranza dei siciliani nei mesi precedenti al referendum sembrava essere entusiasta dell' idea separatista.

Nel periodo che Finocchiaro Aprile e Varvaro erano confinati,scrive Tonino Zito,

due patrizzi palermitani ( Carcaci e Linguaglossa) incontrarono a Roma re Umberto.e gli formularono la loro proposta per conto di Tasca.

Gli emissari offrirono la corona di Sicilia a suo figlio, il piccolo Vittorio Emanuele. Sulla proposta Umberto «manifestò vivo interesse».

Per propugnare la causa monarchica in vista del referendum, Il re ricevette calorosissime accoglienze nel capoluogo siciliano, non solo dalla nobiltà palermitana ma anche dalla folla dei rioni popolari, opportunamente "incoraggiati" con distribuzione straordinaria di farina.

I separatisti intendevano così mostrare al re la loro grande possibilità di orientare il voto palermitano e siciliano. Contemporaneamente il separatismo rafforzava il proprio prestigio in Sicilia facendo apparire il re come favorevole alla causa.

" L' Operazione Gotha",così viene chiamata comunemente da separatisti e esponenti della casa Savoia,si infranse miseramente di fronte alle parole del colonnello Pollach, dell' Overseas Secret Service (uno dei due servizi di spionaggio statunitensi).

Egli, incontratosi con Michele di Linguaglossa, lo informò di essere al corrente del piano separatista e gli disse senza mezzi termini che il governo Alleato si sarebbe opposto a ogni tentativo inteso a frustrare i risultati del referendum: «Se occorresse - avrebbe detto - manderemo una squadra navale nel porto di Catania. Non vogliamo re in Sicilia».

Con la ferma opposizione degli Americani naufraga il sogno golpista e eversore dei separatisti di destra siciliani, tra cui, e bene ricordarlo sempre, una figura di prestigio e di primo piano era il barone Stefano  La Motta.

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