Un altro aspetto che contraddistingue i contadini nicosiani è il gusto del sano, dei gustosi piatti e dei dolci fatti in casa, e del buono che accompagna ogni sua giornata, e lei la massaia sa come soddisfare il palato del suo compagno e della sua famiglia, e, giorno dopo giorno, rubando spesso ore al suo riposo, mentre gli altri dormono lei veglia e prepara, prepara come un angelo che tesse la soave trama dove avviluppare con contorni d'amore la pace della sua famiglia. Qui non è retorica la figura della massaia "angelo della casa" perché lei sa, ne ha ereditato consapevolmente il ruolo, che molti dei nodi di cui è intessuta la vita li dovrà sciogliere lei, lei con la sua abilità e con il suo amore. E i giorni scorrono sereni, quasi fatali, nel ciclo annuale dei lavori. Non è monotono accudire ogni giorno, ogni momento tutti gli animali che alleva; non è facile pulire le stalle, portare fieno e biada.
Lei nutre gli animali con la stessa cura con cui nutre i figli, nei suoi lavori mette tutta la sua esperienza. Come si sa la vita dei campi è dura e, spesso, non dà i frutti sperati e i figli, crescendo, vanno alla ricerca di quel "pezzo di carta", che, chissà, darà loro forse un posto e, quindi, studiano con un certo impegno ma con un occhio sempre rivolto ai campi.
L'istruzione li arricchisce, forti dell'esperienza che con saggezza viene loro trasmessa dagli anziani della famiglia, presenti in ogni masseria, con i loro detti e i loro proverbi (alcune volte sembrano dare fastidio, "i proverbi") che consentono di apprezzare meglio la vita di tutti i giorni. Il fatalismo dei contadini non deve farli apparire succubi di chissà quali forze e volontà esterne. E' nel loro essere buoni e pazienti, nella schiettezza del loro animo, nella certezza che tutto si risolverà, il loro vivere sereni. E aspettano i cicli stagionali con l'ansia di chi vuole vivere col massimo impegno e, in questi cicli ha ancora un grande ruolo la "massara".
Ad essa non sfugge nessun particolare: sa quando è tempo di preparare questo o quel dolce, questa o quella pietanza adattandoli alla stagione, alla temperatura, alle particolari predilezioni dei suoi cari. E porta in tavola "bracialete e mestazole, canole e tortonedde, boscote e zzucarine, pastesecche, colombedde, torron e pozziddate". D'inverno: "supa e piciotta, tagghiarine co cesgere e dentichie, menestre de verdure, taccoe e macarroe, sughe che nen se pono ddivè de mbocca, na gaddina a brodo, n conighjo asugo, soozziza restuda, fave chi gede, balottine calae tá sarsa o na frogia”, il tutto reso molto gustoso dalla sapiente dosatura con pancetta o lardo delizia della sua cucina. Il contadino non è conservativo per cultura, ma per fatto naturale. Le sue tradizioni non sono scritte da nessuna parte, eppure, lui e la sua famiglia le seguono tutte: è cultura orale che si trasmette di padre in figlio giorno dopo giorno, anno dopo anno, ciclo dopo ciclo. I lavori, le ricette sono parte integrante della loro vita.
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