Mentre a Nicosia divampa la polemica, tra "storici" e "ricercatori", sul numero dei baroni presenti in epoca storica, provo a raccogliere insieme alcuni spunti di riflessione, sollecitato dalla redazione di Germinal.
Salvo dedicare uno spazio museale in cui coltivare la memoria e l'identità (che sarebbe il benvenuto), richiamare il passato feudale all'ingresso di una città in un'epoca storica che, per fortuna, ha scelto la democrazia e la società aperta è uno strafalcione grossolano. Un errore di grammatica: blu. Ma blu come una frase senza soggetto e senza verbo, non come il sangue della nobiltà evocata.
Dal punto di vista dell'educazione civica gli stemmi collocati sono alquanto diseducativi. I titoli nobiliari sono infatti aboliti per costituzione, alla stregua del fascismo. Quindi gli stemmi baronali all'ingresso della città equivalgono a un mezzo busto di Mussolini in una sede istituzionale.
Errore anche dal punto di vista del marketing, perché nessuno dei palazzi baronali è attualmente fruibile e messo a norma.
Ultimo, ma non meno importante: errore dal punto di vista della sicurezza stradale.
Quanto a Nicosia, forse, la sua più grande virtù è l'abbondanza: di Cristi, santi, baroni, "storici", "ricercatori" e chi più ne ha più ne metta.
Anche la resa estetica (de gustibus…) non sembra delle migliori. Insomma, siamo di fronte a un vero e proprio spreco di denaro pubblico (in un momento di drammatica crisi economica) a fronte di un'opera, la rotonda, già compiuta.
E nessuno afferma, qui, di cancellare il passato. Men che meno di cancellare vie o piazze. Ma sul piano simbolico, e i simboli sono molto importanti, l'ingresso di una città non corrisponde ad una via! Che i titoli nobiliari non siano più riconosciuti è un valore repubblicano e democratico non secondario. Con i titoli la costituzione abolisce il retaggio di una società feudale ed elitaria divisa in classi sociali. E noi che facciamo? Eleviamo a virtù ciò che è, giustamente, cancellato per legge?
E sarebbe utile spiegare anche la differenza tra simbolo e allegoria. Laddove nell'allegoria il particolare si muove in funzione dell'universale, nel simbolo invece il particolare è già l'universale. Ergo gli stemmi posti all'ingresso di Nicosia, sul piano simbolico sono Nicosia. Diventano una sineddoche del nostro paese. Alla maniera di San Felice all'ingresso sud. E della piramide all'ingresso est.
Ecco perché sarebbe cosa ben diversa inserire gli stemmi dentro un museo. Perché viviamo in un universo di segni e simboli. Anche il discorso giuridico, con riverbero sul piano dell'educazione alla cittadinanza, non è affatto peregrino.
Con questi stemmi all'ingresso della città, dunque, affermiamo che Nicosia "è" la città dei baroni. È, ora. Con un percorso museale dedicato l'assunto cambierebbe in: Nicosia "era" la città dei baroni. E sono due cose del tutto diverse. La prima è inaccettabile.
Quanto alla cancel culture imperante, piuttosto, questa operazione si muove in combinato disposto con una revisione della toponomastica tesa a cancellare i simboli (vie e piazze) del nostro Risorgimento. Ergo ritorneremmo all'epoca pre-risorgimentale e pre-repubblicana dei baroni. Questa sì sarebbe cancel culture. E il Conte Ruggero finirebbe per “passeggiare” tra le vie del paese con un pinco pallino barone qualsiasi. Secondo la vulgata livellatrice (ma soltanto nelle alte sfere) di qualche revisionista progressista di casa nostra.
Ma non tutte le “revisioni” sono uguali. Quando il buon Giampaolo Pansa osò attaccare il sacrario divino della Resistenza, svelandone il lato oscuro e portando alla luce il “sangue dei vinti, finì a scrivere editoriali su La Verità, “confinato” nel ghetto dei traditori della cultura di sinistra. Dei seminatori di discordia. Ebbene, oggi, gli stessi numi tutelari della Resistenza sembrano pronti a sacrificare Garibaldi (diventato l’osceno mostro dei fatti di Bronte) sull’altare della Patria. E come si possano conciliare Resistenza e valori repubblicani, con tentazioni e conati neo-borbonici è mistero della fede.
Che dire?
Non ci resta che affidarci al nostro fraticello questuante, santo suo malgrado, custode dell’ingresso sud di Nicosia. E pregare.
Salvo scegliere di andare a nord e preferire, all’umiltà del cappuccino questuante, la iattanza dei baroni. D’altronde, non siamo la città dei due Cristi, dei mariani e dei nicoleti? Dei baroni e di San Felice? Degli ossimori e delle contraddizioni?
Ma noi preferiamo andare a Sud! Tra la gente, in mezzo al popolo, tra i contadini e gli imbianchini, i commercianti e i muratori. Dove i notai e i dottori, gli operai e i coltivatori, sono uguali davanti alla costituzione. Hanno gli stessi diritti e, persino, lo stesso sangue che, piaccia a meno, non è blu.
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