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Immagine del redattoreGabriella Grasso

Le memorie di donna Prizzita

Romanzo a puntate

Era comunista

Concetta, intanto che aspettava di finire gli uffizi domestici, fra sé ripensava a donna Prizzita.

Andava ripetendo che era comunista e non trovava altre parole eppure si sentiva penetrare da un sentimento di rispetto.

Donna Prizzita aveva un portamento, involontariamente, composto e quasi naturalmente maestoso; l’occhio vivace e il naso adunco indicavano un’antica fierezza, consumata dai pensieri e dagli anni.

Giunta in paese da chissà dove, non parlò mai del suo passato con nessuno, eppure Concetta era venuta a sapere che il 10 marzo del 1948, Donna Prizzita aveva visto una cosa.

Ad Aprile di quell’anno si sarebbe votato per i due rami del Parlamento e Fanio, dirigente del movimento contadino per l’occupazione delle terre incolte, si trovava a lavorare quando due uomini a cavallo lo freddarono a colpi di fucile, davanti al figlio.

L’indomani sul giornale si lesse: “ Assassinato contadino. I moventi sono oscuri e non si esclude quello passionale” invece Germinal, il foglio dei contadini, titolò così: “ Ammazzato sindacalista. E’ la quarantesima vittima della mafia agraria dal ‘44 a oggi. Il movente è noto: la terra è dei signori e i contadini la possono solo zappare”.

Fanio, mezzadro e capolega della Federterra, si trovava in contrada Raffo quel 2 marzo e pensava alle elezioni del 15 Aprile e anche Calogero Cangelosi, segretario della Camera del lavoro, ci pensava il 13 Aprile e forse pure Placido Rizzotto, partigiano, socialista e segretario della Camera del lavoro di Corleone. A ammazzarli erano stati i cani dei padroni, quei latifondisti che la terra la volevano tutta per loro anche quella incolta. Ai braccianti si poteva dare solo lavoro, ma mai la terra. Fu Giuseppe Di Vittorio a avanzare, al Comitato direttivo della Cgil, la proposta di un premio di mezzo milione di lire a chiunque avesse dato notizie utili a ritrovare Rizzotto e a scoprire i colpevoli del delitto. Concetta aveva sentito dire che donna Prizzita scrisse una lettera a Di Vittorio e poi se ne scappò per trasferirsi al loro paese, dove aveva comprato una casetta e un pezzo d’ orto. Fra le cianfrusaglie di donna Prizzita, una lettera c’era e se prima di bruciarla qualcuno l’avesse letta, avrebbe anche capito chi era quella disgraziata che veniva da lontano.

Cara compagna, scusami innanzi tutto se non ti ho scritto prima d’ora. La Segreteria confederale ha esaminato la tua particolare situazione economica dopo la morte del caro ed eroico compagno, assassinato dalla mafia perché difensore accanito e fedele della causa dell’emancipazione del lavoro. Mentre ti rinnovo le condoglianze più fraterne per la insostituibile perdita del tuo amato, la cui morte sarà di fulgido esempio per tutti i lavoratori siciliani e di tutta Italia, ti invio la somma di lire 100.000 come aiuto della CGIL, per portare un po’ di sollievo alle tue necessità. Fatti forte cara compagna e sii certa che la marcia dei lavoratori verso un avvenire di pace, di benessere, di maggiore tranquillità per tutti, è continua. Verrà il giorno in cui i nostri ideali saranno realizzati. Il segretario generale Giuseppe Di Vittorio.

Concetta era persuasa che quella avesse fatto la spia, ma oramai era morta e dunque a chi poteva interessare?

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