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Stefano Vespo

LE VITTIME OLTRE IL MURO



Lunedì 27 maggio presso l’auditorium del liceo scientifico di Nicosia, allievi di varie classi dell’Istituto Fratelli Testa di Nicosia condurranno un incontro dedicato al tema del conflitto tra Israele e Palestina.


Il tema del conflitto tra Israele e Palestina ha innescato un dibattito che divide l’opinione pubblica occidentale. Un dibattito nel quale sono già stati individuati i termini più scottanti: quelli che non devono mai essere proclamati apertamente, ma anche quelli utilizzati come armi puntate contro l’interlocutore. 

Il primo, naturalmente, è quello di “genocidio”. Una parola che già campeggia, nero su bianco, sui documenti redatti dall’ONU a proposito dei massacri compiuti nel 1982 dall’esercito israeliano nei villaggi libanesi di Sabra e Shatila. In quei villaggi dove avevano trovato rifugio un migliaio di profughi palestinesi. 

“Genocidio” è inoltre un termine che la nuova storiografia israeliana, fiorita dopo la prima Intifada, non ha timore a utilizzare. Soprattutto a proposito del rapporto instaurato dagli Israeliani con i Palestinesi fin dal 1948, l’anno della Nakba, ovvero della catastrofe per la popolazione palestinese. La ricostruzione storica del conflitto tracciata nei libri di Ilan Pappè, storico di origini ebraiche i cui genitori hanno attraversato la tragedia dei campi di sterminio nazisti, è interamente costruita intorno all’assioma che fin dalla sua creazione lo stato di Israele ha ritenuto indispensabile e necessaria la “pulizia etnica”.

Tuttavia, pronunciare questo termine equivale ad attirarsi maledizioni, accuse e denunce. Per alcuni, equivale ad una vera e propria bestemmia; per altri, ad una chiara ammissione di antisemitismo.

Ed ecco l’altra parola aizzata nel dibattito pubblico: “antisemita”. Purtroppo è sotto gli occhi di tutti che la mentalità, il costume, il modo di esprimersi, soprattutto tra le giovani generazioni, oggi si butta, come si suol dire, decisamente a destra. Si è costretti quotidianamente a sentire frasi di odio contro gli Ebrei oppure contro gli stranieri o chi ha un colore della pelle diverso dal nostro. La nostra società, i suoi problemi economici, il cinismo dei nostri governanti, l’incapacità dei nostri strumenti di educazione e formazione stanno permettendo l’avvento di nuove generazioni cresciute nell’odio e nel risentimento: l’antisemitismo è un triste ritorno del passato nel nostro presente. Purtroppo, alcuni condannano Israele per puro spirito antisemita. Dimenticando che anche noi Italiani ci siamo macchiati di crimini orrendi, ad esempio quando costruivamo campi di concentramento come quello di Arbe nella ex Jugoslavia, nel quale 15000 Slavi internati furono sottoposti a crudeltà e torture. Nessun popolo, nessuno stato può considerarsi esente da colpe e da crimini: quando un uomo ha la forza e il potere dalla propria parte, li esercita fino in fondo. 

Certo, nessun popolo e nessuno stato vuole sentirsi rinfacciare i propri crimini: si tende a dimenticare questi particolari, conservando i ricordi più belli della propria storia. Tuttavia, non ha senso accusare indiscriminatamente di antisemitismo qualunque persona critichi e condanni l’operato di uno Stato. In questo caso, la parola “antisemita” viene usata come un’arma, come un fucile puntato contro la libertà di pensiero e di parola. Non vi è democrazia, se intorno alle nostre parole vengono costruiti dei campi minati; se si è costretti a vivere nel timore che possa esplodere contro di noi un’accusa ingiusta e violenta: non c’è democrazia se si vive nel timore e nell’autocensura continui.

In questo contesto così difficile, è da ammirare il coraggio dei nostri ragazzi che hanno scelto di parlare di Israele e Palestina. A proposito di loro, ecco un’altra espressione ricorrente: “i ragazzi oggi sono indifferenti, non si impegnano”. Sarebbe più giusto dire un’altra cosa. I ragazzi di qualche decennio fa avevano forti strutture politiche e ideologiche dentro cui incanalare le proprie forze, dentro cui dare forma al bisogno di cambiare le cose che da sempre caratterizza l’essere giovani. Se oggi sono tristi e apatici, dipende dal fatto che vivono in un contesto così ambiguo, così deludente, così condizionante, così schiacciante che solo chi possiede un forte spirito critico e molta lucidità riesce a trovare la strada per esprimersi. Sono pochi, i ragazzi che oggi sentono il richiamo morale della partecipazione, del cambiamento, ma sono eccezionali. 

“E’ fondamentale che si arrivi a un accordo per la creazione di uno Stato palestinese indipendente. E’ tempo di agire con determinazione e solidarietà”, afferma Ylenia Ferro, tra le relatrici dell’incontro, “per porre fine a questo conflitto senza fine: bisogna partire da una presa di coscienza collettiva”. Anche Francesca Venezia, che leggerà Stato d’Assedio, un testo del Grande poeta palestinese Mahmoud Darwish, nutre la speranza “che un giorno possa essere raggiunta una soluzione equa e giusta, che ponga fine alle sofferenze del popolo palestinese”. Giorgio Trovato nel suo intervento si occuperà “di fare luce sulla storiografia del conflitto, soprattutto su quella che ha affrontato il tema del genocidio, sfatando alcuni miti e rispondendo ad alcuni dubbi, per avere un dibattito più sano ed informato”. Non manca lo spazio per l’arte, affidato a Giusy Costa Cardone, realizzatrice della video-poesia Pensa agli altri. “Mi ha colpito l’immagine della candela alla fine della poesia che ho scelto di interpretare con il mio video: l’ho collegata all’immagine di un bambino, perché i bambini rappresentano l’umiltà, l’ingenuità e soprattutto la speranza”.

I nostri ragazzi ci stanno insegnando a saper guardare oltre le divisioni ideologiche, religiose e razziali. Oltre i muri che costruiamo attraverso il linguaggio. Perché la soluzione non è alzare un muro sempre più alto, ma toglierlo di mezzo. Per poter comprendere che le vittime che stanno dietro questi muri sono uguali a noi.

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