Mettere gli stemmi baronali nella rotonda è stata una scelta sbagliata e vi dico subito il perché.
Salto a pié pari il problema sul numero esatto dei baroni, se erano 24, 19, di più o di meno. Mi sembra una questione marginale e, comunque, non sono a conoscenza di documenti storici dirimenti sul punto.
Non intendo farmi travolgere neppure dalle infuocate dispute ideologiche. Anche se è vero, come sostengono alcuni, che la nostra Costituzione, segnatamente Repubblicana, ha abolito i titoli nobiliari ed è altrettanto vero che la storia della città non l’hanno fatta solo i baroni ma anche i braccianti e gli operai. Aggiungerei i contadini nicosiani per la loro laboriosità nella coltivazione dei terreni, ovviamente oltre ai vari personaggi illustri. I fratelli Testa e Li Volsi, Pietro Vinci, Marcello Capra, Filippo Randazzo, fino al poeta Carmelo La Giglia, solo per fare alcuni pochi, anzi pochissimi, nomi.
Non entro nel merito dell’impatto estetico e dell’effetto visivo. Da che mondo é mondo il giudizio sulla bellezza è soggettivo.
Nulla da dire, infine, sulla fattura dell’opera realizzata (conosco l’artigiano e le sue capacità tecniche).
Nutro invece serie perplessità sulla location. Perplessità insuperabili !
Gli scudi araldici riducono fortemente la visibilità con probabile violazione del codice della strada e, soprattutto, l’opera non è concretamente fruibile. Cioé non è possibile soffermarsi a guardare gli stemmi e apprezzarne le effigie o leggere i nomi delle singole famiglie blasonate.
Ho fatto due giri con la macchina per trovare lo stemma dei La Via (dai quali non discendo perché i miei avi capitini, ma originari nicosiani, erano fabbri e non baroni).
Ma la questione vera è un’altra.
Chi ha concepito l’idea, “adornando” così -si potrebbe dire- enfaticamente l’ingresso nord della città, ha pensato di asserire, anzi certificare che Nicosia è il “paese dei 24 baroni”. Con ciò compiendo un grave atto di presunzione storica.
Nicosia è una cittadina ricca e poliedrica di cultura, storia e risorse.
Intorno al 1100 era la quarta città demaniale della Sicilia (dopo Palermo, Messina e Catania), un paio di secoli dopo, nell’epoca Federiciana, le venne conferito il titolo di civitas constantissima. E’ stata sede di Università. Inoltre nel 1530 ospitò una seduta del Parlamento Siciliano, presieduto da Carlo V (viene conservata ancora oggi la famosa poltrona dove sedé il sovrano). E, da ultimo, nei primi del secolo scorso, in Cattedrale, venne scoperto dal tedesco Leopold un tetto a capriate dipinto del ‘400 che si pensa sia oggi unico in Europa (coperto di sotto dalla volta rinascimentale, occultato si ma protetto e conservato nel tempo).
Menziono infine la riserva orientata Campanito-Sambughetti, tra le più grandi in Sicilia, di cui è noto il valore naturalistico-paesaggistico e la qualità dei pascoli naturali.
E mi fermo qui per ragioni di tempo e di spazio. Perché potrei andare molto, ma molto oltre.
Per tornare ai baroni, essi sostanzialmente sono i meno blasonati e, pur avendo avuto un ruolo nella società nicosiana dall’800 fino ai primi del 900 (l’edificazione dei palazzi o la Casazza, da qualche anno ripresa), sarebbe impensabile affermare che abbiano inciso nella storia cittadina più dei vari Ruggero, Federico o Carlo V o della peculiarità delle due etnie esistenti. I coloni Lombardi e i discendenti dei greco-bizantini, che hanno convissuto e si sono fronteggiati, separati da un (ancora esistente) “piliere”, con due Chiese, la Basilica di Santa Maria (Mariani) e la Cattedrale di San Nicola (Nicoleti) e “due cristi” di riferimento. Peraltro, dalla prevalenza dei nordici lombardi ne è conseguita l’affermazione del galloitalico, lingua ancora oggi parlata soprattutto nelle campagne e dai più anziani.
Nei quasi 15 secoli di vita della città, non mi pare ci sia stata tramandata una egemonia storico-culturale dei baroni, così marcata e di tal fatta.
Si è vero che a Nicosia viene attribuito il nomignolo di paese dei “24 baroni”. Ma anche dei “dei due Cristi”. E, negli ultimi decenni (dopo studi mirati ed approfondimenti scientifici), è stata definita pure città del “tesoro nascosto” (il tetto ligneo). E, in alcune riviste specialistiche, anche città del “galloitalico” o Nicosia “la Costantissima” o, più semplicemente, “la nobile”.
Ed ancora, con un indelebile richiamo storico, qualche studioso ha usato l’appellativo di “antica Città Demaniale” o, su una scelta di puro marketing, nessuno vieterebbe di chiamarla anche -e perché no- città del “nocàtôlo” (dolce di mandorla) o della “piciöta” (polenta buonissima), prodotti tipici che richiamano le tradizioni popolari.
Ma se dovessi scegliere io, tra tante opzioni e da non credente, non esiterei a definirla “città di San Felice”, valorizzando i principi di umiltà e di servizio, sopra ogni riferimento storico e senza correre il rischio di cadere (o scadere) nella tronfia alterigia.
Conclusivamente, che fare allora della nuova rotonda addobbata ?
Molto semplice. Rifuggo da scelte iconoclastiche. Ho rispetto per il lavoro e, soprattutto, per la storia, che va conosciuta, studiata e conservata. Tutta la storia.
E, dunque, i 24 scudi blasonati vanno conservati e, semmai, ancor di più valorizzati.
Però va trovata una collocazione alternativa e più funzionale. Così da uscire fuori dall’equivoco storico e utilizzare al meglio l’opera, assicurandone la piena fruibilità.
Tutti, cittadini e visitatori, devono avere la possibilità di guardare, ammirare, analizzare i blasoni delle singole famiglie nobiliari (magari con l’aggiunta di brevi legende esplicative), all’impiedi e per il tempo necessario, senza il pericolo di venire investiti o tamponati.
Il nuovo posto ?
Qualunque, tranne quello attuale.
A mio avviso un ambiente “esterno”. Anche perché, se non ho visto male, il materiale impiegato è la pietra lavica. Andrebbe benissimo una piazzetta o uno slargo del nostro meraviglioso centro storico, magari in uno dei quartieri più antichi, da scegliere con tutta calma e con il massimo coinvolgimento di associazioni, intellettuali, storici, studiosi, appassionati.
D’altra parte la cultura non può essere appannaggio o monopolio di pochi e la storia appartiene a tutti noi.
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