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Piergiacomo La Via

NINO ARRIGO, IL DITO E LA LUNA.


Se potessi vorrei ritornare al Liceo non per tornare a studiare, ma per studiare. Perché in effetti a quell’età studiavo pochissimo e riuscivo a strappare la promozione con tutti 6 (numero perfetto in quanto multiplo di 3). Si è vero che avevo 8 in condotta ed in religione, però non facevano media.


Mi piacerebbe studiare il latino, la letteratura italiana ma, soprattutto, la storia dell’arte.

Questa era la materia che quasi nessuno di noi prendeva sul serio.

Eppure la pittura, la scultura, i monumenti e tutte le opere d’arte sono la rappresentazione esteriore più alta ed allo stesso tempo più emozionante della storia di coloro che ci hanno preceduto e di quelli che verranno dopo di noi, in definitiva dell’intera umanità.


Ora si è che Nino Arrigo, una intelligenza nostrana, viva e naturale (diventa sempre più difficile trovarne tra quelle non artificiali), qualche giorno fa sui social ha manifestato il suo disappunto per i materiali utilizzati nel restauro della nostra Cattedrale trecentesca, riconosciuta come monumento nazionale dal 1940.


Apriti cielo ! 

Come sempre siamo bravi a guardare il dito e non la luna.

Mi spiego meglio. Non entro nel merito della vexata questio di natura tecnico-artistica, le mie incolmabili lacune scolastiche e culturali non me lo consentirebbero. Né mi soffermo sull’analisi delle frasi o sul carattere del prof. Arrigo, certamente meno peggio del mio.


La verità che Arrigo pone un problema serio. Che come tutti i problemi seri è un problema politico. E mi ricorda un mio intervento di quasi trent’anni fa, presenti oltre a varie Autorità, il Prefetto e il Soprintendente dell’epoca, il compianto dr. Pierfilippo Villari, col quale abbiamo polemizzato sia prima che dopo essere diventati amici.

Nell’occasione sostenni che le Soprintendenze erano degli organismi inutili e che il governo del territorio si appartenesse ai Sindaci che erano la più alta espressione della volontà popolare. 

Mi guardarono tutti come un blasfemo irriverente.


In effetti pensavo -e penso- che un Sindaco che ama la propria città ed i Monumenti che ne fanno parte potrebbe decidere senz’altro al meglio. Conseguentemente invocavo una legge che riformasse la materia, attribuendo la competenza decisionale ai Sindaci, previo il parere obbligatorio di una commissione ampia e rappresentativa, composta da esperti, studiosi, intellettuali, appassionati, incluso un rappresentante dei BB.CC. e della Chiesa quando si fosse trattato di edifici di Culto.


Il problema politico (e dunque la luna e non il dito) è proprio questo. 

Spostare la decisione dall’alto al basso. Da organismi esterni alle comunità ed ai territori interessati. Da burocrati seduti dietro ad una scrivania a cittadini che discutono, dibattono, approfondiscono e poi decidono su come manutere, restaurare e valorizzare i propri beni culturali.

 

E, pur in attesa di una riforma (che magari non arriverà mai), nulla impedirebbe ad un Sindaco di istituire una commissione qualificata che si esprima se utilizzare le tegole marsigliesi, canadesi, portoghesi o i coppi siciliani. Oppure che si pronunci sui colori delle facciate del Monumento o se fare o non fare una facciata nuova, lasciando quella antica in muratura povera di pietre irregolari e di ciaramicule o ciaramire (frammenti di coppi siciliani).


In questo caso gli organi decisionali avrebbero difficoltà a discostarsi da indicazioni chiare, precise e motivate, fatte proprie dal Capo dell’Amministrazione e dai Consigli Comunali, che avrebbero un notevole peso politico sulle decisioni .

Purtroppo registro con amarezza che i governi locali sui grandi progetti fanno calare un silenzio assordante, se non omertoso, non promuovono incontri nè dibattiti preventivi, limitandosi alle inaugurazioni di opere progettate decenni prima, che neppure conoscono, con rituali foto sui social solo per attirare like e facili consensi.


Ma questo è un problema diverso. E’ un problema altrettanto serio. Anch’esso un problema politico.


Le comunità devono darsi progetti, idee e soprattutto rappresentanti, donne e uomini in grado di attuarli. Insomma classi dirigenti più interessate ai grandi progetti di sviluppo che ai selfie.


Le comunità devono imparare a guardare la luna e non il dito.  

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