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Immagine del redattoreGabriella Grasso

Premio città di Leonforte. La pazzia è liberatoria.

Giuseppe Cinà ha vinto la sezione poesia con "a Macchia e u Jardinu" e Stefano Redaelli la sezione narrativa con "Ombra mai più". Domenica sera, nell'accogliente salone di Villa Artemide , si è svolta la serata conclusiva della 40° edizione del Premio Letterario città di Leonforte e fra amarcord e performance canore di Cristina Russo, letture e intrattenimento, chiacchiere e conteggi alla maniera dello "Strega" ( con tanto di lavagna in ardesia e gessetto bianco) la cultura ha fatto teatro. La serata è stata condotta, con maestria, da Elisa Di Dio accompagnata, nella lettura dei testi, da Sandro Rossino, che ha mostrato tutto il suo talento nell'interpretazione delle poesie di Cinà, scritte in un ibrido dialetto palermitano con cadenze ragusane. L'editore Emilio Barbera ha diretto e coordinato ogni cosa. Bene. Assai meglio sarebbe stato se i libri avessero "parlato" di più. E' obbligo omaggiare e presentare i giurati e le autorità e i convenuti, ma meglio sarebbe sorvolare sul cerimoniale per concentrarsi, maggiormente, sui testi in gara, che trattavano i temi dell'inclusione in una società omologante. La malattia mentale, la ghettizzazione sociale e l'adesione al costumme patriarcale della donna obbligata alla stereotipo di genere. Ombra Mai Più di Radaelli, I Bambini del Maestrale di Ossorio e Melusina di Pugno hanno ridato voce alla libertà di essere soggetto prima che oggetto predeterminato. I libri hanno il potere di mostrare altri mondi possibili e se riletti anche di desiderarli. I premi sono stati realizzati dai fratelli Lo Gioco e da Giuseppe Paolillo.


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