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Immagine del redattoreAlain Calò

RICETTA (CINICA) PER ABOLIRE LA POVERTA’

Aggiornamento: 6 ago 2022

In questi giorni molte sono le polemiche sul reddito di cittadinanza, una misura che sin dalla sua genesi abbiamo definito sciagurata perché avrebbe prodotto più povertà di quella che, stando alle parole dell’allora grillino Di Maio, avrebbe dovuto abolire. E i nodi, infatti, sono arrivati al pettine e a causa di questa misura non si trovano gli stagionali costringendo aziende del settore a ridurre il loro fatturato e, dopo un periodo di totale chiusura a causa del Covid, si rischia di arrivare alla chiusura delle stesse aziende e quindi aumentare la povertà.


Qualcuno potrebbe obiettare che gli stipendi offerti sono troppo bassi, ma la soluzione a tale osservazione non sta certamente nel reddito di cittadinanza ormai divenuto reddito di “divananza”, bensì nel taglio del cuneo fiscale con annessa riforma sul salario minimo. Il reddito di cittadinanza dovrebbe al più essere visto come un sussidio per chi non può lavorare effettivamente e non per chi sta comodamente sul divano ad aspettare che qualcuno gli procuri il lavoro magari sotto casa. Che poi, a dirla tutta, neanche gli viene procurato, perché basterebbe accendere una qualunque televisione e scopriremmo come ci sono diverse aziende che non trovano lavoratori stagionali pagati fior di quattrini. O ancor più, se non piace la stagionalità (mai sia un po’ di gavetta), basta fare una ricerca su internet per trovare vari lavori anche a tempo indeterminato che nessuno, soprattutto giovani, accetta perché è lontano anche solo qualche chilometro da casa (a buona pace della generazione di migranti). Come mai questi lavori non vengono proposti (e quindi computati) ai lor signori percettori.


Che cosa fanno i centri per l’impiego? Sta crescendo una generazione rammollita che non ha nel proprio DNA l’esperienza (e anche la gioia) del sacrificio e della gavetta per ottenere una vita dignitosa. Quella gioia del contadino che vede il proprio raccolto dopo tutto il sudore della coltivazione. Al Governo che verrà chiediamo, anzi imploriamo, di eliminare questa sciagurata riforma, sradicarla e metterla a monito per le future generazioni con un grande “mai più”. O comunque, innanzitutto, procedendo in maniera graduale, eliminare l’accesso a questa misura a tutti gli under 35 che non studiano e capaci di lavorare perché la loro disoccupazione ha un nome ben preciso: “lagnusia”. Non sarebbe neanche male un controllo dei flussi di denaro di questo reddito, con una spia che dovrebbe illuminarsi ogni volta che ci si trova davanti a qualcosa non strettamente necessario (per non parlare poi dei beni di lusso).

Volete un modo per abolire la povertà? Vi diamo noi una ricetta abbastanza cinica che nessuno adotterà mai perché molto impopolare.


Dopo aver attuato il taglio sul cuneo fiscale e aver introdotto il salario minimo, al posto di dare il reddito di cittadinanza sarebbe molto meglio creare la tassa di divananza, ovvero una tassa che deve pagare chi non ha lavoro e non studia al momento del rifiuto di un lavoro. Direte voi che chi non lavora non ha soldi per pagare questa tassa. La risposta arriva subito: dopo essersi accertati che il soggetto che ha rifiutato il lavoro non lavori in nero (e in caso costringerlo a pagare alla comunità tutto ciò che ha guadagnato illecitamente), ripagare il suo debito con servizi utili alla comunità trovando una tabella di conversione tra l’esborso monetario e il tempo da dedicare. Oltre alla tassa a questo soggetto andrebbe tolto qualunque diritto sulla gestione dello Stato (diritto di voto in primis) in quanto chi non collabora per la comunità volutamente non ha diritto a partecipare alla vita della stessa.

Vogliamo anche essere provocatori (sappiamo che questa è fantascienza ma la logica ferrea, che non ha colore politico, impone anche un’altra riflessione): una coppia senza reddito e in cui almeno ad un soggetto sia stata fatta una proposta di lavoro non dovrebbe neanche avere diritto ad avere figli.


Capiamo che questo è cinismo puro ma bisogna essere pratici: un milione di coppie senza reddito che fanno almeno un figlio comporta di ritrovarci con tre milioni di soggetti senza reddito oltre al fatto di far nascere soggetti in un ambiente sicuramente poco sano e quindi potenzialmente più soggetto alla delinquenza. E se proprio nascono i figli sospendere la potestà genitoriale (fino a che almeno uno dei due coniugi non abbia un lavoro) e collocarli in altre famiglie o in strutture statali che si occupino della loro crescita e soprattutto formazione al lavoro. Prima che a qualcuno passi in testa che stiamo dicendo che ai poveri non concediamo neanche di fare figli (e ribadiamo, al più non lo è concesso a chi è povero e fiero di esserlo nonostante tutti gli aiuti forniti dallo Stato), pensate quanti bambini vengono abbandonati perché la famiglia non riesce ad arrivare a fine mese. Pensate ai bambini malnutriti, a quelli buttati sulle strade a vivacchiare. Risparmiamo ai bambini la sofferenza… d’altronde non lo chiedono loro di nascere.


Infine attuare controlli serrati su chi ha percepito il reddito di cittadinanza (speriamo abolito) in passato senza averne i requisiti nella pratica e non solo formali (conviventi con due indirizzi diversi, padri e figli in due residenze diverse, ecc. ecc.). A questi soggetti, oltre a dover restituire tutti i soldi ricevuti in questi anni bui bisognerebbe equipararli, per un periodo uguale al periodo di percezione del reddito, a chi ha rifiutato un posto di lavoro con annessi provvedimenti detti precedentemente.

Infine sui centri dell’impiego la ricetta è presto detta: chiudere tutte quelle filiali (e quindi licenziarne i dipendenti) che non riescono a coprire una congrua fetta di disoccupati con offerte di lavoro. D’altronde nelle nostre case se abbiamo un elettrodomestico poco funzionante che cosa facciamo? Lo buttiamo.



Detto ciò si capisce che questa ricetta sia troppo cinica, troppo dura, però in un momento critico come questo in cui l’inflazione galoppa e sono a rischio i nostri risparmi che sono stati accumulati con sacrificio e fatica, non è certamente il momento di creare un parassitismo sociale perché dopo le macerie ci sarà bisogno di ricostruire e non vorremmo trovarci con dei rammolliti che preferiscono starsene sul divano piuttosto che alzarsi e andare a lavorare fuori dal proprio paese. E poi vi pare corretto che vi sia gente che lavora, si spacca la schiena tutti i santi giorni per guadagnare di meno (o poco più) di chi non fa niente tutto il giorno sapendo che poi, magicamente, vedrà dei soldi piovergli dal cielo? Se iniziassimo a vedere questi soggetti come i veri nemici per la nostra economia e per il nostro sviluppo e benessere, inizieremo finalmente a muovere i primi passi per rilanciare veramente la gioia del lavoro come sviluppo del singolo e della collettività.

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