Il presidente dell’Eni fu ucciso il 27 ottobre 1962 con il sabotaggio del suo aereo. Un libro del 1968 suggeriva che i mandanti dell’attentato fossero i servizi segreti francesi. Molti altri indizi sembrano portare in questa direzione
In un libro uscito in Francia si racconta l’assassinio di un petroliere da parte dello Sdece, i servizi segreti francesi (oggi Dgse). E lo si fa con tanto di dettagli dell’operazione segreta. Nel libro i nomi sono inventati e tutto si svolge in Svizzera. Però i particolari sono perfettamente sovrapponibili a quelli della morte di Enrico Mattei, il presidente dell’Eni morto il 27 ottobre 1962 nello schianto dell’aereo su cui viaggiava, un Morane-Saulnier, nel cielo di Bascapè, in provincia di Pavia. Con lui morirono anche il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista statunitense William McHale. Nulla di sorprendente: già nel 2003 l’inchiesta del pubblico ministero Vincenzo Calia ha dimostrato che il Morane-Saulnier di Mattei precipitò a causa di un sabotaggio. Il problema è che il libro in questione è stato pubblicato nel 1968: più di trent’anni prima delle scoperte di Calia. Uno dei misteri della storia d’Italia si arricchisce dunque di un nuovo giallo. Ma prima di analizzarlo e spiegarlo, occorre riavvolgere un lungo nastro e farlo ripartire dall’inizio. Nel 1962 l’Eni era una delle più importanti società energetiche del mondo, creata dallo stato italiano come ente pubblico nel 1953 sotto la presidenza di Enrico Mattei, e aveva già alle spalle anni di concorrenza con le cosiddette “sette sorelle”, cioè le grandi compagnie angloamericane del settore petrolifero. La sfida lanciata da Mattei in Iran, in Egitto e in altri paesi del Sahara era semplice: non più “fifty-fifty”, cioè i proventi delle estrazioni divisi a metà tra compagnia occidentale e paese produttore, bensì 75 per cento al paese produttore e 25 per cento all’Eni. Che diventò così la bestia nera di Stati Uniti, Regno Unito e Francia.
Proprio la Francia per giunta si trovava in quegli anni a fronteggiare la rivolta indipendentista algerina, sostenuta dall’Eni. Non solo a parole: l’azienda finanziava anche l’acquisto di armi destinate al Fronte di liberazione. E infatti Mattei, nei suoi ultimi mesi di vita, fu più volte minacciato dall’Oas, l’organizzazione paramilitare clandestina e terrorista francese che si opponeva alla liberazione dell’Algeria dal dominio coloniale. In più l’Eni si era spinta a sottoscrivere importanti accordi commerciali con l’Unione Sovietica: enormi quantitativi di petrolio in cambio di materiale industriale. Una mossa che gli Stati Uniti non gradirono affatto.
Un lungo sodalizio
Il Morane-Saulnier precipitò insomma in un momento in cui i nemici del presidente dell’Eni erano ovunque. Italia compresa, visto che il suo potere era in grado di condizionare il governo. L’indagine di Calia, durata nove anni, ha il merito di essere andata a fondo sulla vicenda, in ogni suo aspetto. La prima inchiesta penale, che si concluse nel 1966, si allineò infatti alle conclusioni della commissione ministeriale, che sbrigativamente aveva parlato di incidente aereo. Calia invece, forte di perizie scientifiche, ha dimostrato che il Morane-Saulnier precipitò per lo scoppio di una modesta quantità di esplosivo, posizionata nel cruscotto e collegata all’apertura dei carrelli nella fase precedente all’atterraggio. A Catania, da dove l’aereo di Mattei quella sera decollò in direzione di Milano, qualcuno aveva dunque sabotato il Morane-Saulnier. Qualcuno che conosceva bene quel velivolo e che riuscì ad accedervi nonostante i controlli.
C’erano tutti i presupposti per aprire un’inchiesta. Ma nessuna procura si attivò
L’inchiesta di Calia si è chiusa con una richiesta di archiviazione: impossibile risalire a esecutori e mandanti. Ma una parte rilevante dell’indagine riguardava Eugenio Cefis, che all’indomani della morte di Mattei fu designato dal governo a prenderne il posto, prima come vicepresidente esecutivo con pieni poteri e poi, dal 1967, come presidente effettivo. Carica che ricoprì fino al 1971, quando in seguito a una clamorosa operazione finanziaria passò alla guida della Montedison, importante società chimica nata dalla fusione di Montecatini ed Edison, scalata con capitali proprio dell’Eni oltre che dell’Iri (per decenni ente fondamentale nella politica delle partecipazioni statali). Prima della morte di Mattei, Cefis era stato per anni il suo braccio destro, con incarichi di responsabilità in tutte le società controllate dall’Eni. Ma tra gli ultimi mesi del 1961 e le prime settimane del 1962 le abbandonò tutte, rompendo un sodalizio che era iniziato alla fine della seconda guerra mondiale: entrambi partigiani, Cefis e Mattei si erano infatti conosciuti durante la resistenza, e dopo la liberazione Mattei volle Cefis accanto a sé all’Agip, l’Azienda generale italiana petroli costituita dal fascismo, che nel dopoguerra il governo intendeva liquidare (su sollecitazione degli Stati Uniti) ma che Mattei rilanciò, ponendo le basi per la nascita dell’Eni.
Pasolini incompiuto
Negli ultimi anni, in particolare dopo la morte di Cefis avvenuta nel 2004, i sospetti si sono addensati su di lui per via di un singolare risvolto dell’inchiesta di Calia. È stato infatti il magistrato a scoprire che brani interi di Petrolio, l’opera incompiuta di Pier Paolo Pasolini pubblicata addirittura diciassette anni dopo la morte dello scrittore, erano tratti da un misterioso libro del 1972, Questo è Cefis, scritto da un certo Giorgio Steimetz (uno pseudonimo) e pubblicato da una casa editrice semisconosciuta. Era un libro misterioso perché non ne esisteva copia neppure nelle biblioteche nazionali di Roma e Firenze. Si trattava di un classico “libro ricatto” che tratteggiava di Cefis un profilo pessimo, invitando addirittura i lettori a denunciarlo, con cartolina precompilata allegata al volume. Petrolio è nodale nella costruzione dell’alone di mistero che ha sempre circondato Cefis: il personaggio di Troya rappresenta proprio lui, mentre Bonocore è Mattei. Pasolini scriveva che Troya “sta per essere fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore”. L’ipotesi, da più parti avanzata dopo l’inchiesta di Calia, è che Pasolini sia stato ucciso proprio per impedirgli di concludere Petrolio.
Nel 1972 uscì anche il film di Francesco Rosi Il caso Mattei, con protagonista l’attore Gian Maria Volonté: la pellicola contiene una breve intervista a Philippe Thyraud de Vosjoli, ex agente dello Sdece che due anni prima nel libro Lamia (il suo nome in codice), pubblicato solo negli Stati Uniti e in Canada, aveva scritto che Mattei era stato ucciso appunto in un’operazione dello Sdece, con un sabotaggio dell’aereo compiuto da un agente di nome Laurent. La dinamica del sabotaggio non coincide con quella poi individuata da Calia: non si parla di esplosivo, bensì di manomissione dell’altimetro. E infatti il magistrato non ha ritenuto quelle rivelazioni attendibili visto che de Vosjoli, quando scrisse il libro, era nel frattempo passato alle dipendenze della Cia (e dunque interessato ad allontanare i sospetti dagli Stati Uniti).
Verdetto frettoloso
Di Lamia e del suo contenuto, in quegli anni, scrissero però in più occasioni anche i quotidiani italiani, in particolare il Corriere della Sera e La Stampa: c’erano tutti i presupposti per aprire un’inchiesta. Ma nessuna procura si attivò. Eppure de Vosjoli sembrava ben informato. Intervistato dal settimanale L’Europeo, aveva anche rivelato di aver incontrato nel 1969, a Roma, Mauro De Mauro, il giornalista del quotidiano L’Ora di Palermo scomparso il 16 settembre 1970 mentre lavorava, per conto del regista Rosi, alla ricostruzione dei due giorni trascorsi in Sicilia da Mattei prima di morire a Bascapè. Nel 2011 la corte d’assise di Palermo ha assolto il capomafia Totò Riina dall’accusa di aver ordinato l’omicidio di De Mauro. Ma le motivazioni di quella sentenza, quasi 2.200 pagine pubblicate l’anno dopo e sostanzialmente non contraddette nei giudizi successivi, confermano la ricostruzione di Calia e vanno anche molto oltre, profilando in più passaggi una pista francese per il delitto Mattei. È il momento di tornare al misterioso libro francese. Calia ne ha parlato il 27 novembre a un convegno in streaming intitolato “Enrico Mattei e l’intelligence. Energia e interesse nazionale nella guerra fredda”, che inaugurava l’undicesima edizione del master in intelligence dell’Università della Calabria. Lo ha fatto partendo da un altro libro del 1985, La piscine, espressione con cui in Francia si indicano appunto i servizi segreti, la cui sede a Parigi si trova nei pressi di una grande piscina pubblica: scritto dai giornalisti Roger Faligot e Pascal Krop, ricostruisce l’attività dei servizi segreti dal 1944 al 1984 e racconta di un funzionario dello Sdece che nega ogni responsabilità francese per la morte di Mattei, attribuendola invece agli americani. Ed è, spiega Calia, una replica a un libro precedente, appunto quello del 1968, di cui comunque il magistrato non cita né nome né autore. Ma il contenuto sì. Nel libro di cinquantatré anni fa, racconta Calia, le coincidenze con il delitto Mattei sono impressionanti. L’imprenditore svizzero del petrolio si chiama Albert Fernetti, 56 anni, sposato, senza figli: esattamente come Mattei al momento della morte. Vive in un appartamento privato di un albergo di Lugano: Mattei viveva in un appartamento privato dell’hotel Eden a Roma. Fernetti finanzia gruppi armati rivoluzionari: Mattei finanziava il Fronte di liberazione nazionale algerino. Voce narrante è un capitano di vascello, agente dello Sdece con compiti dirigenziali fino al 1967. E dice che la morte di Fernetti dovrà sembrare un incidente aereo con modalità che ne nascondano la natura dolosa: come per Mattei a Bascapè. Il momento giusto? Condizioni meteo avverse e Fernetti comunque in volo, a quel punto potrà scattare la “Action Homo”: cioè, nel linguaggio dello Sdece, l’omicidio. Ancora: braccio destro di Fernetti è tale Eric Garnett, “ufficiale della riserva e patriota”: sembra il ritratto di Cefis. Di Garnett si dice che è pedina fondamentale dell’operazione perché “mosso dal desiderio di subentrare a Fernetti nel suo impero”.
L’operazione, si legge, scatta dopo aver messo fuori gioco in un incidente di bicicletta tale Masson, uno dei meccanici incaricati della manutenzione permanente dell’aereo di Fernetti: nella sua inchiesta Calia ha scoperto la rocambolesca sostituzione, pochi mesi prima di Bascapè, di Marino Loretti, meccanico di fiducia di Bertuzzi, il pilota di Mattei. Nel libro, Masson viene sostituito da un altro meccanico che poi si incarica di sabotare l’aereo di Fernetti: un bimotore come quello di Mattei. Lo fa “facendo saltare tre saldature”, spiega Calia, “e risistemandole in maniera provvisoria, un sabotaggio difficilmente individuabile dopo la caduta del velivolo”: esattamente come l’esplosione di Bascapè. Il nome di battesimo del nuovo meccanico? Laurent: come l’agente che due anni più tardi Thyraud de Vosjoli, ex Sdece, citerà nel suo libro Lamia. Così Calia ha chiuso il suo intervento: “Aggiunge ancora il libro che la commissione d’inchiesta, in assenza di elementi contraddittori, pronunciò frettolosamente il suo verdetto: incidente causato dalle condizioni atmosferiche particolarmente avverse”. Frase che calza alla perfezione anche al delitto Mattei. Tutte queste coincidenze lasciano sbalorditi.
Sono ancora più intriganti dell’ipotesi sollevata dall’inchiesta di Calia a proposito della connessione – attraverso Cefis – delle morti di Mattei e Pasolini. E infatti lo stesso Calia ha fatto capire di preferire la pista francese a quella americana, per via delle mire dell’Eni sul petrolio del Sahara nonostante gli accordi di Évian (del marzo 1962) sull’indipendenza algerina, che assicuravano a Parigi il controllo delle estrazioni. Ma ha anche ripetuto più volte che le sorprendenti coincidenze tra il libro del 1968 e ciò che avvenne a Bascapè non sono certo una prova. Peraltro, di sabotaggio dell’aereo di Mattei (e dunque implicitamente di aggiramento della sorveglianza) aveva già scritto Fulvio Bellini nel 1963, in vari articoli pubblicati sul settimanale Secolo XX. Ad accrescere la curiosità è il fatto che il magistrato non ha rivelato titolo e autori del libro neppure quando gli è stato chiesto. Ha solo detto che si tratta di tre giornalisti francesi e che già nel 1967 raccontarono la vicenda alla tv francese. L’Essenziale può però essere più preciso.
Mondo parallelo
Il libro s’intitola Le monde parallèle, ou la vérité sur l’espionnage ed è stato pubblicato nel 1968 dall’editore Fayard et Chantrel, con copertina arancione e titolo in un riquadro nero che simula uno schermo televisivo: un dettaglio non casuale. Gli autori sono in effetti tre, ma solo uno è giornalista: Pierre Accoce, morto a 91 anni nel 2020, a lungo redattore del settimanale L’Express e autore di vari volumi su guerre e spionaggio. Gli altri sono Yves Ciampi e Jean Dewever, entrambi registi e sceneggiatori, morti da tempo. Come Questo è Cefis, anche Le monde parallèle è un libro raro: nei cataloghi bibliografici pubblici francesi se ne rintracciano solo quattro copie, tutte a Parigi. Una di queste tra l’altro fa parte del Fondo Pascal Krop, proprio il giornalista che ne scrisse in La piscine. Il volume è tratto da una serie di tredici telefilm, che andarono in onda su Ortf e Zdf, le tv pubbliche francese e tedesca. Titolo: appunto Le monde parallèle in Francia e, in Germania, Spionage. Die Arbeit der Geheimdienste. Gli autori? Proprio Ciampi e Dewever, il primo ne fu anche regista. La puntata su Fernetti-Mattei è la settima e fu trasmessa dalla Ortf il 5 febbraio 1968 con il titolo Action Homo e dalla Zdf il 1 marzo dello stesso anno (Aktion Zero). Stando alla quarta di copertina del libro, quel capitano di vascello agente dello Sdece e responsabile della morte di Fernetti non sembra frutto della fantasia di Accoce, Ciampi e Dewever. Si legge infatti: “Grazie a dossier autentici che hanno permesso di realizzare quest’opera di ampio respiro [la serie tv, nda], ecco ora questo documento”. Gli elementi del racconto – così sovrapponibili al caso Mattei – sarebbero quindi arrivati agli autori da ambienti dei servizi segreti. Se così fosse, la pista francese per risolvere il mistero della morte del presidente dell’Eni andrebbe approfondita.
(GIA' APPARSO SULL'ESSENZIALE)
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