Intervista immaginaria (ma non troppo) al prof. Giovanni Pettinato, parlando dell’Iraq, sulla falsariga del suo saggio “Diario di un archeologo” comparso sul supplemento “Iraq istruzioni per l’uso” al n. 2/2004 della rivista italiana di geopolitica “Limes”.Il prof Pettinato, un grande esperto del mondo mesopotamico, si recò a Baghdad nell’aprile 2004, per incarico ufficiale del ministero degli Esteri e su sollecitazione del rettore dell’Università di Roma La Sapienza, Giuseppe D’Avanzo, per riordinare l’Iraq Museum che era stato saccheggiato alcuni giorni dopo l’ingresso dell’esercito americano in città. Il prof. Giovanni Pettinato, originario di Troina dove è nato nel 1934, è morto Roma il 19 maggio 2011.
Quest’intervista immaginaria è un mio piccolo omaggio al compianto prof. Giovanni Pettinato.
(D) Prof. Pettinato, quali sensazioni ha provato ritornando a Baghdad dopo due anni, a distanza di un anno dal conflitto militare che ha avuto come effetto diretto la caduta del regime di Saddam Hussein?(R) Le sensazioni provate nel mettere piede in territorio iracheno sono senza dubbio alquanto deludenti dal punto di vista umano e sociale: Baghdad era, nonostante il regime, una città aperta e gradevole per ogni visitatore, mentre adesso si avverte ad ogni angolo la presenza degli stranieri occupanti e il senso di paura e frustrazione di un popolo che si sente non liberato, ma sottomesso, a forze militari, che impediscono il qualche modo lo scorrere quieto e normale della vita di tutti i giorni. Se prima si percepiva la presenza occulta delle spie del governo, ora si avverte a vista d’occhio la paura provocata dalla presenza di carri armati e delle autoblindo, nonché degli elicotteri in città e fuori.
(D) Cos’è cambiato nell’atteggiamento degli iracheni dopo l’avvenuta “liberazione”?(R) Non ho avuto molte occasioni di parlare con le persone del luogo, sicché le mie impressioni potranno essere parziali. Dapprima mi sia consentita un’osservazione di carattere generale: già all’arrivo all’aeroporto i funzionari addetti al controllo passaporti non erano iracheni, bensì americani. Alla mia domanda ingenua del perché di tale situazione mi venne risposto: <<Come, non è al corrente di quanto è successo al paese ormai da un anno?>> A questo punto ho capito che la Baghdad in cui mi accingevo ad entrare non era la città che conoscevo! Attraversando la città, la mia impressione è totalmente negativa. I miei occhi guardano le rovine ancora evidenti dell’ultima guerra, i palazzi sventrati dalle bombe. Guardo ancora le gente per strada e noto che il costume delle donne è profondamente mutato: al tempo di Saddam le donne irachene portavano i capelli sciolti e si vestivano all’occidentale, mentre adesso quasi tutte indossano lunghe vesti nere e vanno a capo coperto, come impone la legge islamica. Mi rendo conto che qualcosa è veramente cambiato nell’atteggiamento degli iracheni. In seguito la stessa cosa ho notato al museo, dove le impiegate vestivano all’islamica, mentre prima si presentavano in maniera diversa. Il velo al posto delle minigonna non è indice di un diverso sentire, ma per loro diretta confessione un’imposizione delle classe sacerdotale, se questa espressione è consentita per indicare i diversi muezzin che ogni tre ore, giorno e notte, declamano dai minareti la legge del Corano. Riguardo a quest’ultimi debbo sottolineare che i muezzin non leggono soltanto i versetti del Corano, ma si cimentano in veri e propri comizi, dove gli stranieri vengono spesso invitati a lasciare il paese: e dire che la casa dover eravamo ospitati era situata di fronte ad un minareto sciita!
(D) Durante la sua permanenza a Baghdad ha dovuto accettare limitazioni ai suoi movimenti per ragioni di sicurezza. Sulla sua sicurezza vigilavano tre guardie armate irachene, che avevano il compito di tenere lontani eventuali aggressori. In queste condizioni, non gli è stato facile avere dei contatti con la gente del luogo, ma durante il percorso dalla abitazione della famiglia di fede cristiana dove alloggiava al Museo dell’Iraq ha avuto modo di osservare la gente per strada. Che impressione ne ha riportato?(R) Non ho avuto molte possibilità di colloquiare con la gente del luogo. Ho osservato il senso di paura nei loro occhi: ma andando al museo ho avuto modo di osservare la gente per strada e sono rimasto sorpreso dalla loro evidente povertà. Ad ogni angolo delle strade si affollavano persone adulte e ragazzi e ragazze che approfittando delle nostre fermate ci tendevano la mano per avere qualche dinaro di elemosina, cosa questa proibita ai tempi di Saddam. Non si pensi che la povertà regni sovrana solo nelle classi meno abbienti e nei ceti sociali più umili: il fatto che gli americani abbiano tolto lo stipendio a tutti gli impiegati pubblici rei di avere la tessera del partito Ba’t, come pure a più di duemila professori universitari colpevoli dello stesso reato, ci fa capire lo stato di povertà collettiva che oggi vige nella stessa capitale. Comprendo che il mio resoconto sulla vita a Baghdad non dà certo un quadro rassicurante. Ad un anno dalla dichiarazione di Bush della fine delle ostilità e della liberazione dell’Iraq, il visitatore nota con rammarico che si è ben lontani dalla proclamata democrazia. Come poi gli iracheni concepiscono il concetto di democrazia – ignota a tutti i paesi arabi che io conosco – me lo ha spiegato il tassista ‘Husayn che assieme Koshaba ci ha accompagnava giornalmente al museo. Essendo entrato nelle corsia sbagliata, gliel’ho fatto notare; al che mi ha risposto con una frase disarmante: <>.
(D) Prof. Pettinato, a conclusione di questa intervista, vuole ricordare i motivi e le circostanze della sua visita di studio a Baghdad?(R) Io sono uno studioso del mondo dell’antica Mesopotamia ed in particolare un esperto della civiltà sumero-assiro-babilonese e della scrittura cuneiforme. E’ noto a tutto il mondo quanto è successo a Baghdad alcuni giorni dopo l’entrata dell’esercito americano in città: il saccheggio vergognoso dell’Iraq Museum che ha portato alla sparizione di innumerevoli reperti archeologici lì conservati. Nel periodo preparatorio alla mia missione in Iraq, insieme a tutti membri della mia cattedra ho preparato la schedatura di mille testi dell’Iraq Museum di Baghdad, di cui eravamo a conoscenza da pubblicazioni scientifiche, con l’indicazione di numero d’inventario, numero di scavo, luogo di ritrovamento, misure delle tavolette periodo storico e genere letterario, redigendo quattro volumi da presentare alle autorità irachene come specimen delle nostre modalità di lavoro. Con tutte queste premesse ho iniziato la mia visita a Baghdad e la serie di incontri con i colleghi iracheni per discutere il nostro progetto di lavoro. Il cruccio più grande è stato sempre quello della sorte delle oltre duecentomila iscrizioni sumeriche ed assiro-babilonesi. Ed ecco la mia sorpresa: accolto assieme a Silvia Chiodi a braccia aperte dai colleghi iracheni, sono stato subito condotto nel grande magazzino delle tavolette, dove mi ero recato l’ultima volta vent’anni fa, e sono letteralmente rimasto sbalordito e commosso nel vedere le tavolette situate negli armadi e nelle scansie così come erano state depositate. Ala mia domanda su eventuali furti, la risposta laconica ma convincente è stata che il magazzino delle tavolette era stato risparmiato dai saccheggiatori. Il nostro progetto di catalogazione, che fu accettato dagli iracheni, l’abbiamo realizzato assieme ad latri quattro atenei europei ed americani, che si erano candidati per tale iniziativa, ma la direzione unica spettava all’Italia.
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